Domenica pomeriggio, in una spiaggia ligure privata, un caldo rovente, uno dei giorni più caldi degli ultimi anni.
Una giovane donna di colore, avvolta in un bel vestito giallo tipico delle sue zone (apprendo poi venire dal Senegal), un turbante in testa per difendersi dal sole cocente e…una bambina di 14 mesi dietro la sua schiena, avvolta in una fascia, che dorme beatamente.
La giovane donna vende quei piccoli libri, senza insistenza. Era accaldata e stanca. Ci accorgiamo della bimba, la fermiamo e lei ci chiede se può sedersi un attimo all’ombra.
Fanculo a tutto, le compro un libro anche se so già che fanno cagare.
Ma mi fa troppa pena la situazione, ed io mi sento in colpa e quasi ricca in confronto! Io, ricca. Sì perché per una che tutti i giorni si fa una/due ore di treno o forse più, tra andare e tornare, macina chilometri sulla sabbia rovente e sotto al sole cocente, tu sei ricca. Punto.
Mi offro di andarle a prendere un paio di bottigliette d’acqua. Una la finisce d’un fiato, l’altra mi chiede di metterne un po’ sulla testa (fasciata) della bambina.
Le chiedo se fosse sicura, visto che l’acqua era fredda da frigorifero e la bimba stava dormendo. Insiste. E gliela verso, svegliandola ed accorgendomi che la bimba aveva la testa fasciata da un suo pantaloncino, e che tra il pantaloncino e la testa aveva un pannolino imbevuto d’acqua, per evitarle colpi di calore.
Poi mi chiede di far bere la bimba, e lo faccio, a piccoli sorsi. E mia madre va a prenderle un’altra bottiglia d’acqua, mentre un altro paio di donne si avvicinano e le lasciano qualche spicciolo per la bambina.
Non vuole lasciare l’Italia, né tornare nel suo paese: qui ha assistenza sanitaria e la Caritas, che là non avrebbe.
E così, in silenzio, com’è arrivata, se ne va.
Ed io rimango lì, sotto l’ombrellone, sentendomi una merda per una distribuzione della ricchezza che non dipende da me.