GREEN HOUSE: MALEDETTA UE!

Sta per partire la più grossa inc..ata del millennio.
Dopo averci quasi obbligato ad abbandonare il diesel perché si è valutato troppo inquinante, ed averci costretto a cambiare quasi totalmente il parco macchine nel giro di un decennio, ora comincia l’attacco al parco…case!

Lo scrivo in breve, poi chi vorrà potrà andare ad approfondire la notizia:
la UE e quindi gli Stati membri hanno deliberato che le case aventi una certificazione energetica alta (a cominciare dalla G) dovranno effettuare miglioramenti per portare la classe energetica a livelli più bassi entro il 2035.
Non solo: secondo questa legge, a partire dal 2035, non si potranno vendere case aventi classe energetiche alte (a cominciare dalla G), né si potranno affittare (parla di affitti nuovi, non già in atto).

Cosa comporta?
Innanzitutto, prima inc…ata: che le case aventi classe energetiche G (ma penso anche F) fin da oggi subiranno un calo della richiesta e un boom di messe in vendita, con conseguente CALO DEL PREZZO.

In secondo luogo, stanno pensando a quali multe dare a chi, dopo la data stabilita (2035?) non si è adeguato.

Terzo, e più importante: dopo la data stabilita (2035?) non si potranno vendere case con classe energetica alta (a partire dalla G): bisognerà prima effettuare i miglioramenti dovuti.

Per miglioramenti dovuti si intende, per esempio, fare il cappotto termico, rifare il tetto e/o gli infissi, cambiare le caldaie di riscaldamento. Una cosetta da poco, vero? Si parla di DECINE E DECINE DI MIGLIAIA DI EURO!!!

Così se già la crisi del 2008 e l’inflazione odierna non ci ha messo in ginocchio, lo farà questa legge (VOTATA ANCHE DAI NOSTRI POLITICI!, possino avere la dissenteria fino al 2050)

Luglio 1985: il mio primo concerto di claudio baglioni

Mancavano una manciata di giorni per compiere 16 anni.
Era uno dei Lugli più caldi che io ricordi.
Mio padre si offrì di accompagnarci a vedere Baglioni, trovò un biglietto dai bagarini ed entrò con noi.
Il prato non era accessibile, così ci mettiamo il più vicino possibile, sedute su degli improbabili gradini alti 10cm invece che sceglierci un posto un po’ più “in grazia di Dio” (e mio padre che continuava a consigliarci vivamente di spostarci).

Il concerto fu bellissimo. Non ricordo neanche più la scaletta, le canzoni, gli arrangiamenti. Per fortuna, in commercio e su YouTube ci sono un sacco di registrazioni per ricordarlo.

Ma fu il mio primo concerto del mio idolo, in uno stadio pieno di ragazzine adoranti come me. I miei 16 anni, il cuore che palpita, le canzoni per sognare un amore perfetto, le amicizie per condividere sorrisi, sogni e segreti. Tutto era bellissimo!

ECONOMIA DOMESTICA

Questa inflazione ci sta impoverendo ancor più. Già abbiamo gli stipendi che non salgono mai, mai si adeguano al costo della vita che sale. Col mio stipendio forse posso comprare uno smartphone top di gamma, per rendere l’idea (dopo 24 anni di servizio!). E non posso neanche ‘arrotondare’ con gli straordinari: la mia azienda da sempre non li paga.

E allora, come fare? Come sopravvive una single nell’hinterland milanese?

Innanzitutto, devo dire che ho un buon allenamento.
7 anni dopo essere stata assunta, ho comprato un monolocale in un palazzo popolare con l’aiuto dei miei, rilevando un piccolo mutuo di 11 anni. Facevo la spesa nel discount sotto casa (Penny Market: sembrava un bazar o qualcosa di simile, per via dei tantissimi stranieri non occidentali che lo frequentavano).
Ho dato io un taglio al parrucchiere, ho comprato sempre utilitarie dopo averle ben spremute, ho fatto vacanze di una settimana, massimo due, uscivo prediligendo gli aperitivi alle cene, perché con pochi euro te la cavavi, e l’abbigliamento lo compravo spesso coi saldi.
Banca ed assicurazione online completavano la strategia di spesa. Ci sono stati mesi che ho dovuto veramente fare i conti con gli spiccioli rimasti la quarta settimana, ringraziando l’economicità delle uova. Mi sono sempre aiutata con un file di excel per sapere sempre in tempo reale quanto denaro possedevo e quali fossero le spese che mi aspettavano, così da non avere sorprese, e sono orgogliosa di dire che non sono mai andata in rosso e che comunque, non mi sono mai fatta mancare niente: basta non puntare alla luna 🙂
Lo smartphone di fascia medio-bassa, il pc di casa di fascia bassa (mai più!), pochi trucchi, un profumo regalato all’anno, il resto vai di deodorante… Insomma: si taglia su tutto o quanto meno si cerca di non spendere tanto, andando alla ricerca di qualcosa di meno costoso del previsto.

Poi ho fatto il salto: finito di pagare il mutuo, ho ceduto il monolocale per comprare un due locali, sempre in un condominio grande e popolare. Ho aperto un prestito per il mobilio di casa e mi sono tenuta la mia C3 finché è diventata maggiorenne. Poi ho comprato la 500 (volevo togliermi uno sfizio e pagare poco di manutenzione), col finanziamento perché così ti facevano più sconto. Ho risparmiato e dopo due anni l’ho estinto, smettendo di regalargli interessi di quasi il 10%, a conti fatti.
Non è cambiato molto: la spesa la vado a fare in un altro discount (Lidl), dal parrucchiere vado una volta ogni 3 mesi, dall’estetista non ci vado più, e per le vacanze non mi rivolgo più ad un’agenzia ma mi organizzo io, così risparmio. E faccio una sola settimana di vacanza, però ‘bella’. Non compro vestiti costosi né di firma, il massimo della marca che mi permetto è Benetton, poi se trovo da negozi meno altisonanti e più economici (Piazza Italia, OVS, Kiabi, il mercato rionale, etc.) meglio è. Insomma: se ci si organizza, ce la si fa!

Ora ho finito il mutuo sulla casa, i finanziamenti sui mobili e sull’auto. Ho finito pure il finanziamento a tasso zero sul pc e l’i-pad (eccheccazz, uno sfizio ogni tanto me lo devo togliere! oltretutto, l’i-pad ha ormai 6 anni e funziona ancora benissimo! Al contrario di altre tavolette!). Sono orgogliosa di me, di quello che sono riuscita a fare, grazie anche all’aiuto iniziale dei miei. Ma non mi voglio ‘sbracare’: sto sempre attenta alle spese, vado sempre 3 volte all’anno dal parrucchiere, niente estetista, niente profumerie, vacanze fai-da-te di una settimana (l’anno scorso ci è scappata anche una crociera sui fiordi), niente abiti firmati né di marche blasonate, niente ristoranti gourmet, eppure, come dicevo all’inizio…mi sono abituata, ci ho fatto il callo. Sono talmente ‘allenata’, che non tengo più il file di excel ;-). Poi, ogni tanto, un colpo di testa lo faccio anch’io, è giusto darsi una gratificazione, piccola o grande che sia, a seconda delle disponibilità; ma poi raddrizzo il timone. Del doman non v’è certezza, e non voglio andare in rosso se il dentista mi trova qualcosa.

Il messaggio che volevo fare arrivare è che ce la si può fare. Bisogna fare sacrifici e poi saper stare in equilibrio tra questi e le tentazioni. Senza cadere in depressione se non ci si può permettere qualcosa.

Addio 2023…non sei stato cosí male!

Sebbene il 2023 si chiude con la mia quarta colica addominale, di cui attendo di saperne la causa, é stato un bell’anno.

Ho avuto altri problemi di salute, altre indagini da fare, sopratutto al cuore. Peró sono riuscita finalmente a cambiare ufficio! E questo è insuperabile!

Non é stato facile, un giorno sembrava che ce la stavo per fare e il giorno dopo sembrava tutto perduto. Fino a quando, a fine 2022, ho avuto la bellissima conferma del cambio ufficio.

Cosí, non solo ho cambiato ufficio, ma anche presidio ospedaliero. Il 13/12/2022 me ne sono andata, senza salutare quasi nessuno, se non le colleghe più strette.

La prima metà del 2023 l’ho dedicata al nuovo lavoro: trovandomi ad essere l’unica impiegata, volevo assolutamente imparare bene il lavoro, prima di prendere qualche giorno di ferie.

A marzo un veloce weekend a Napoli con le mie cugine é scorso via troppo in fretta.

E come da promessa, a giugno mi sono messa alla prova con “il minimo sindacale” del Cammino di Santiago. L’ultimo tratto da Sarria a Santiago: 117 km. Purtroppo il cuore mi ha dato subito problemi e devo confessare che la seconda tappa l’ho saltata, prendendo uno spericolato taxi. Ma poi le ho fatte tutte, grazie anche ai miei compagni di viaggio che mi trainavano idealmente. Fosse stato per me, ci avrei impiegato molto più tempo per ciascuna tappa. All’arrivo, sono stata fiera di me: non avrei mai immaginato, prima di intraprenderlo, di farcela. Faticoso ma bello.

Poi, la mia prima crociera: fiordi norvegesi. Sarò sincera: bello ma un po’ deludente. I paesaggi un po’ ripetitivi (magari innevati fanno son più belli…), non da fare ‘wow!’, e la nave…un po’ noiosetta! É che non c’era la giusta temperatura per godere delle piscine durante la navigazione, il wifi della nave costava troppo per comprarlo, quindi finito l’unico libro che m’ero portata, non sapevo piú che fare. Inoltre, mi ha disgustata il comportamento sprecone degli ospiti ai buffet. Comunque, sono disponibile a fare un’altra crociera per ricredermi 🤭

A settembre una visita a Maiorca, che non finisco mai di scoprire….

Ma quello che ha fatto bello questo 2023 che ci ha appena lasciati é il lavoro nuovo. 4 dottoresse, 4 infermiere, un infermiere che condivide con me l’ufficio ed io che sono l’unica amministrativa del reparto. Il team é affiatato, mi hanno accolta bene, credo di essere molto stimata, lavorativamente parlando, e mi trovo da Dio!!! Vado a lavorare serena, non mi pesa, anzi! Auguro a tutti un ambiente così! Ringrazio sempre il Padreterno per questo regalo: so di essere moooolto fortunata. Quasi mi vergogno per tutti quelli che, invece, sono costretti a vivere situazioni lavorative assurde o quantomeno pesanti.

Cambiando presidio ospedaliero ho cambiato città. E ho perso tutte o quasi le conoscenze (le amicizie sono altra cosa!) che avevo. Confermandomi il fatto che la maggior parte delle comoscenze fatte erano solo opportunisti.

Non mi faccio piú illusioni: i rapporti amicali sono sempre meno e si ridurranno sempre più. L’importante é andare avanti, crescere, acculturarsi,leggere, informarsi, seguire dei corsi, insomma: non fermarsi! E sognare! Nel 2024 vorrei fare un bel viaggio. E siccome non é facile trovare compagni di viaggio con le stesse idee, le stesse esigenze, etc., vorrei mettermi alla prova con un viaggio in solitaria, o con qualche gruppo. Ma dove e quando voglio io. Dove? Dipende dal budget. Questo é stato un anno che ha visto tante, troppe spese. Devo promettere a me stessa di impegnarmi a risparmiare e mettere via qualcosa per la pensione. Che a questo punto, non so proprio quando sará: come minimo, 10 anni!

Un augurio a me stessa. Un augurio a quei pochi che, anche se non ci credo, avranno letto fin qua.

Buon 2024!

Italiani lamentosi

La verità è che ci lamentiamo sempre. Per qualsiasi cosa. Siamo scontenti di tutto.
Da poco sono passata a lavorare da un ospedale medio-grande, ad uno piccolo, che ERA un ospedale ed ora è sede solo di ambulatori (scelte della Regione): le file d’attesa al CUP sono ben diverse, eppure si lamentano lo stesso pur stando in coda molto meno tempo.
E l’aria condizionata è troppo fredda, e il riscaldamento è troppo alto, e il padiglione B è troppo lontano, e l’ambulatorio X è troppo in alto, e ho fatto troppa coda, e non ne ho fatta e quindi sono troppo in anticipo e mi tocca aspettare (eccheccazz), e mi fate fare troppi esami, e non me ne fate fare. Abbiamo il parcheggio interno gratuito: eh, ma è lontano e devo fare il giro dell’ospedale….

Dovremmo fare un libro di tutte le lamentele ‘inutili’.
Ma è per ribadire che ci stiamo intristendo, diventando sempre più invidiosi delle altrui fortune, non ci sta mai bene niente.
Sui social è anche peggio: si aprono polemiche per delle cose assurde, si danno risposte ‘a cactus’, provocatorie, istigatrici, si dubita di qualsiasi cosa, manco dovessimo scoprire complotti quotidiani…

Ma che ci sta succedendo?

SITI WEB

Ormai mi è diventato impossibile navigare in qualsiasi sito: quelli delle news sono a pagamento (alcuni ti lasciano leggere nr. x articoli, poi basta), e quelli di vario genere sono letteralmente assaliti da pop up che ti impediscono di leggere, ti obbligano ad aspettare 5 secondi (quando ti va bene) per avere accesso all’articolo o al video.

Che palle! Mi sto disamorando del web. Se prima era un posto dove trovare “la-qualunque” cosa necessitassi, ora è un continuo “attendere, prego”.

NAPOLI E’ UN MONDO A PARTE

Napoli è un mondo a parte. O forse dovrei dire uno Stato a parte. Nel bene e nel male.

Qualsiasi cosa avvenga in questa città, che è la città che ha dato i natali ai miei genitori e a tutti i miei avi, fa notizia.

La squadra di calcio del Napoli ha appena vinto lo scudetto. Due intere giornate di trasmissioni televisivi di qualsiasi rete tv dedicate ai festeggiamenti. Se l’avesse vinto (di nuovo) il Milano, o la Juve, o l’Inter ci saremmo sorbiti due orette di festeggiamenti/strombazzamenti e poi tutti a nanna. Tv comprese.

Invece a Napoli no. Tutto fa notizia, incuriosisce, attira i riflettori.

Non è una città come un’altra. E’ proprio un altro mondo, a sè stante. La gente è diversa, generosa e sanguigna, estroversa e disinibita.

Se non esistesse, i palinsesti televisivi dovrebbero cambiare.

Pensiamo anche alle canzoni. In Italia ci ascoltano canzoni italiane e napoletane (oltre a quelle straniere, in inglese in primis). Avete mai sentito qualche canzone, chessò: in veronese? valdostano? friulano? calabrese?

Anche nel teatro ha una larga fetta di mercato. E parlo di adesso, non del Settecento, Ottocento e Novecento.

E suscita un’invidia pazzesca a tutte le altre città, perché -forse- è la più bella, la più viva, la più vitale, la più geniale. Una città con un potenziale pazzesco, e sottolineo pazzesco, che se davvero fosse sfruttato appieno, farebbe impallidire tutte le capitali, e non solo quelle europee. Meditate gente, meditate, diceva un napoletano d’adozione (R. Arbore)

Un’intera classe politica di incapaci

Da destra a sinistra, passando per il centro. Non salvo nessuno. Non faccio sconti, né simpatizzo.

Avete portato un Paese RICCO (siamo nel G8, eccheccazz), con eccellenze in tantissimi campi, un PATRIMONIO CULTURALE ed ARTISTICO che il mondo ci invidia e che copre una percentuale pazzesca di beni, che solo a voler vivere di turismo ed indotto dovremmo alzare il PIL di non so quanti punti di percentuale, e invece…

Invece ci troviamo un Paese che ha svenduto e sta svendendo i gioielli di famiglia.
Le industrie tessili quasi azzerate; quelle agricole, coi marchi nazional-popolari in mano a Società straniere. Quelle di automobili, scappate all’estero.
La Fabbrica (ex) Italiana di Automobili sita (una volta) a Torino, che non produceva solo auto e che aveva interiorizzato altre fabbriche di veicoli, comprando, inoltre, l’antagonista storica Alfa Romeo, per due lire, complice come sempre la politica, da cui si dice abbia sempre avuto sovvenzionamenti ed aiuti (dietro velati ricatti di messa a casa di migliaia di dipendenti). Cornuti e mazziati: produce ora all’estero e non è più l’unica fornitrice per le aziende statali (a proposito di aiuti: bella riconoscenza).
Le piccole imprese faticano, ma i politici non sanno che pesci prendere per aiutarle.
Solo slogan, slogan e ancora slogan.
I soldi (nostri) vanno in tanti, fumosi, inutili, progetti: da quello per sollevare il turismo in Italia (non c’è bisogno di app che manco funzionano!!!! L’Italia quella bella si fa pubblicità da sola! Serve un pacchetto funzionante! Aerei, collegamenti, mezzi pubblici funzionanti! E non per la singola città, ma che si spingano oltre, verso il territorio circostante, verso le altre città di bellezza e cultura).

Avevano un gioiello nelle loro mani, non hanno saputo fare un cavolo.
I giovani, i nostri giovani, scappano. E loro parlano, parlano, parlano. Senza andare a fondo del problema, capirne le cause e cercare rimedi (concreti).
I giovani scappano non perché gli piaccia andar via di casa, lasciare famiglia e paese per andare all’estero. Scappano perché le condizioni nostrane fanno cagare. Scappano perché gli stipendi sono offensivi, sia per chi si è fatto il mazzo a studiare, sia per chi rifiuta uno stipendio il cui minimo sindacale è una vergogna. Scappano, e fanno bene. Perché qui non c’è la meritocrazia. Un dirigente che conosco bene, un inetto, incapace ma super-raccomandato, non è stato licenziato ma spostato ad altra sede, andando a guadagnare di più! Perché così si fa: si spostano i dirigenti incapaci perché non possono licenziarli. Vanno a far danni altrove.

E mi fermo qui, perché il discorso è lungo e mi fa arrabbiare.
Però rimane il mio disgusto per questa classe di incapaci. Basta guardare come hanno gestito l’emergenza Covid. Ci meritiamo di meglio!
Ma siamo incastrati in un sistema fermo e a cui fa comodo L’IGNORANZA della gente, la disaffezione alla politica.

SISAL

Tempo fa, decisi di scaricare l’app della Sisal, versarci 10€ e giocarmele tutte, con la promessa di chiudere l’app non appena fossero finiti i soldi.

Magari sembra una cosa di poco conto, ma vengo da una famiglia che ripudia i giochi coi soldi, le scommesse, etc. Si narra di un avo che si giocò una fortuna alle carte…

Ebbene, il gioco crea dipendenza, e questo lo sappiamo tutti. E la Sisal credo sia la società che gestisce i giochi e le lotterie per conto dello Stato italiano. Dovrebbe quindi tutelare davvero, e non per finta. Invece, si pulisce la coscienza con tanto di avvertimento bla bla bla e poi fa di tutto per tenerti ancorato al suo sito, accreditandoti anche qualche decimo di centesimo pur di farti continuare a giocare tutti i giorni.

Finiti i miei 10€ che non hanno fruttato niente, come immginavo, disinstallo l’app. Dopo parecchi mesi, oggi mi arriva una mail dalla Sisal che mi comunica l’accredito di ben UN euro, per farmi continuare a giocare.

Alla faccia di tutte quelle persone che si sono mangiati stipendi e pensioni, e che ora stanno combattendo la loro battaglia contro la ludopatia.

UN NUOVO LAVORO

Dopo le peripezie che ho già raccontato, riusciamo a spuntarla e ad ottenere l’agognato trasferimento di ufficio/sede/lavoro. Fanculo a chi voleva assolutamente ‘spingere’ la sua beniamina! Stavolta ho vinto io, lecitamente, lealmente, dopo sette anni (7!) di domande di trasferimento.

E’ tutto nuovo, tutto da imparare, in questa specie di unità operativa sanitaria ed io unica amministrativa. Sono qui da quasi 4 mesi, e ancora non credo di avere imparato e assimilato tutto. I colleghi (infermieri e dottoresse) sono splendidi, comprensivi, pazienti. Sembra di stare in una fiction tanto non mi sembra vero!

Io mi sto facendo il mazzo per imparare più in fretta possibile ed essere autonoma. Ho trascritto i miei appunti in digitale, imparo ogni giorno ma ogni giorno insegno anche. E questo è gratificante.

Al mattino, i colleghi sembrano tante api operaie: si preparano il lavoro e poi lo svolgono, in maniera tanto professionale quanto empatica verso utenti spesso fragili.

Se tutti lavorassero con la loro coscienza, umiltà, empatia, sarebbe un mondo migliore!

I migranti, quelli poveri

Un’altra tragedia in mare, quella al largo delle coste calabresi di Cutro. Decine e decine di morti, tra cui molti bambini.

E questo non può far girare dall’altra parte il popolo de “sono troppi” e “aiutiamoli a casa loro”.

Che poi, se proprio volessimo aiutarli a casa loro, col calo demografico italiano, tra due o tre decadi non ci sarà chi ci versa la pensione…

E non ci sarebbero più i braccianti disperati che si accontentano di un salario di fame per fare lavori che gli italiani non vogliono più fare.

Ma vabbé, non volevo allungarmi. Riflettevo sul fatto che tutto il nostro popolo di respingitori non pensa, però, che tanto mi da tanto, nemmeno i loro figli dovrebbero andare a studiare o lavorare all’estero. O sbaglio?

Sennó si arriva a poter migrare solo se benestanti. E per benestanti intendo anche gli studenti che arrotondano con qualche lavoretto, non i ricchi.

Benestanti siamo noi, che viviamo in un paese senza guerre, senza carestie, senza particolari preoccupazioni. Noi che abbiamo una sanità pubblica, per quanto funzioni. Che abbiamo mezzi pubblici. Che abbiamo la libertà. Compresa la libertà di andare o restare.

I flussi migratori ci sono sempre stati, altrimenti non si spiegherebbero i vari colori degli occhi, dei capelli, della pelle – anche nel nostro paese.

L’uomo si è sempre spostato. Per migliorare le condizioni di vita, in primis. Per migliorarsi.

Dobbiamo accettarlo. Senza confondere i flussi migratori con l’immigrazione clandestina.

A come Abano (terme)

Dopo un rocambolesco quanto impegnativo cambio di lavoro, mi sono regalata un weekend alle terme.

Considerato che una giornata alle terme di Milano mi costa piú di una sessantina di euro, senza mangiare, ho trovato piú conveniente spenderne 200 in pensione completa ad Abano.

Pochi gli hotel aperti, poca gente in giro e un’aria dismessa da stagione non ancorainiziata, o forse finita.

Tutto sembra fermo agli anni 70/80. Le camere, le vetrine dei negozi… in giro non c’è un’anima, cosa un po’ inquietante. Camerieri carinissimi, e tanto, tanto mangiare. E io che pensavo che alle terme si mangiasse poco!

Lo consiglio. Un po’ di relax ci vuole. Non ho portato nemmeno l’orologio. Che invece serviva, perché i pasti venivano serviti in un periodo di tempo corto.

E poi…lo Spritz! D’altronde, siamo in Veneto, dove é nato! Buonissimo! Altra ragione per venire 🤪

La ruota gira

Ho cambiato lavoro. É stato rocambolesco, ma ce l’abbiamo fatta. Ora sono in quello che fu un ospedale, declassato dagli assurdi conteggi di regione lombardia. Non lo chiude, lo tiene in piedi ttutto questo tempo, non lo sfrutta per il covid, quando servivano strutture, ma lo declassa. E allora, perché? Perché chiuderne i servizi, i reparti, il pronto soccorso, per tenerne in piedi, funzionante, riscaldata o rinfrescata la struttura? Che senso ha??? Non lo so. Fatto sta che lavoro qui, in questo ospedale fantasma. A 3 km l’ospedale di regione lombardia costato 14 milioni di euro (dicono). Poi smontato. Il mio ufficio sta in una ex saletta chirurgica. Assurdo. Avrebbero potuto mettere tutti i medici di base della cittadina di 36000 abitanti e invece… Ma torniamo a me 🤭🫠 Sono contenta, ed ho paura di dirlo. Di la, non ho salutato nessuno. Me ne sono semplicemente andata. Dopo il covid ho sentito sulla mia pelle quanto false ed opportuniste fossero tutte o la maggior parte delle conoscenze. Spero di aprire un nuovo capitolo della mia vita.

Dottoresse ed infermiere sono tutte carinissime. L’unico infermiere, é con me in ufficio, quando non é nelle salette. On mi sembra vero.

É una nuova sfida, imparare daccapo. Ma ho fiducia in me.

Adelante!!!

Tu mi porti suuuuuuu

E poi mi lasci cadereeeeeee

Cantava cosí, Giorgia. E così mi sono sentita le scorse settimane, quando sembrava dapprima fatta, poi naufragata il mio ca mbio lavoro (piú che di lavoro, di capo!).

Poi, la botta di culo, sembra fatta. Manca solo quella maledetta lettera che fissa la data, ma che non arriva. Me la stanno facendo purgare.

Maledetti!

MONTAGNE RUSSE E DITI MEDI

Ho fatto un altro sogno.

Ho sognato che, martedì scorso, la direttrice di struttura dove avrei piacere ad andare a lavorare, mi chiama e mi incita a scrivere la lettera di richiesta di trasferimento.
La scrivo e la porto materialmente alla segretaria del Direttore Generale, che sapeva già di questo mio desiderio. Un’ora dopo mi chiama, dicendo che dovevo reputarmi fortunata: il DG era in buona e ha mandato avanti la mia richiesta.
Ero al settimo cielo!!! Vado a dirlo alla direttrice, trasmettendole il messaggio della segretaria del DG di sentire subito il direttore del personale.
Non ho notizie fino a venerdì, quando, per un qui pro quo, interpreto male un messaggio della segretaria, cadendo in un profondo sconforto. Chiamo in serata e mi spiega: la tua domanda è ferma perché il direttore del personale vuole sentire il tuo capo. Ma la notizia bella è che il tuo capo verrà trasferito ad altra struttura. Bene!!
Passa tutto il lunedì, e martedì risento la segretaria: il mio capo aveva dato parere negativo e non solo: il direttore del personale spingeva al mio posto una super raccomandata! E’ finita.
Vado dalla direttrice a dirglielo poco prima di uscire per andare a casa. Mi dice che sarebbe andata dal DG e ci salutiamo mestamente.
Questa mattina mi chiama il mio capo per farmi uno shampoo circa la mia domanda di trasferimento. Torno mestamente in ufficio, ma nel pomeriggio vengo chiamata dal DG.
Ho pensato ad un altro shampoo.
Invece….colpo di scena!!! Mi fa trasferire!

Ero talmente contenta da non crederci: ho persino detto al DG di darmi un pizzicotto perché ancora non ci credevo! Avrei anche tanto voluto passare dalla porta del capo facendo “i diti medi”, ma meglio aspettare l’ufficialità della lettera di trasferimento.

E’ un bellissimo sogno e, per favore, non svegliatemi!!!!

Il cammino di Santiago

Se riesco a cambiare lavoro, lo faccio. Per ringraziare.

Il cammino francese, quello piú battuto.

Mi devo allenare. Mi riesce piú facile organizzare voli, hotel o pensioni, ma camminare, stavolta, é essenziale.

Sará una bella sfida: iniziare un nuovo lavoro (volesse il cielo) e iniziare il cammino. Iniziare qualcosa é continuare a vivere. Accettare le sfide é continuare a vivere. Restare nella propria comfort zone é morire lentamente

Lascia che sia (ma un po’ forza il destino)

Di avere un direttore col quale non mi trovo bene, l’ho già scritto in più salse.
Di essere seguita da una psicologa a causa ‘sua’ (in realtà la colpa è sempre nostra, ma non allarghiamo il discorso), pure.
Detto questo, ho provato a chiedere colloqui ai piani alti: sempre rimbalzata.
Ho risposto ad una domanda di mobilità per la Regione Lombardia: sto aspettando di vedere a che posto mi sono piazzata (hanno risposto in tanti, e io non ho raccomandazioni, nel caso servissero).
Ho alzato gli occhi al cielo e ho detto “fai tu. Lo so che hai cose più importanti. Vedi tu”.

Ho lasciato che il destino facesse il suo corso. Qualsiasi cosa facessi per forzarne la mano, sembrava andare in direzione opposta.

E quando sembrava tutto sfumato, o quasi, quando il lumicino della speranza si stava pian piano esaurendo, oggi tutto quello che mai avrei osato pensare si è realizzato:
sono stata chiamata dalla direttrice dove mi piacerebbe andare a lavorare, ho fatto subito domanda di trasferimento, sono andata a consegnarla a mano alla segretaria del direttore generale, il quale poi ha scritto al direttore del personale, cui spetta l’ultima decisione.

Ho paura persino di sperare in positivo, ho paura di immaginare come possa essere ‘di là’.
Staremo a vedere. Intanto, ringrazio Dio.

Non siamo più capaci di leggere

“Il termine ANALFABETISMO FUNZIONALE indica l’incapacità di usare in modo efficace le abilità di lettura, scrittura e calcolo nelle situazioni della vita quotidiana; si traduce quindi in pratica nell’incapacità di comprendere, valutare e usare le informazioni incontrabili nell’attuale società.”

Se non sappiamo più capire (e non vogliamo neanche più leggere!), dove arriveremo?!

Mi fa paura l’ignoranza.
Mi ha sempre fatto paura.

Quando guardiamo alle altre culture che trattano le donne come sub-esseri, le costringono ad indossare burqa e veli varie, non ci sembrano arretrate, ignoranti? E non ne ricaviamo un brivido di disgusto?
Poi, però, non leggiamo un libro da tempi immemori, non compriamo un quotidiano perché ormai leggiamo (solo) i titoli su Google News (e solo quelli, anche perché le testate nazionali si sono fatte giustamente furbe non permettendo più di leggere l’articolo completo se non sei abbonato.

Nemmeno la tv di stato reputa conveniente trasmettere trasmissioni culturali. A parte Angela.
Se fatte bene, però, vengono seguite. Ma un popolo che pensa non è manovrabile.

Così ci troviamo le scuole in pessime condizioni, gli insegnanti sottopagati…
Ai politici non conviene avere un popolo pensante, critico.
Conviene dargli qualcosa che lo distragga. Aveva ragione Pasolini, già decenni fa.

TOUR DELLA TURCHIA OCCIDENTALE – 1998

TURCHIA – 1998

Il mio primo tour organizzato! Bellissimo! Forse il tour organizzato più bello che abbia mai fatto!
Operatore: TurbanItalia.
Periodo: 18gg di Agosto 1998
Turchia centrale + mare a Bodrum + ovest turco.

La nostra guida si chiamava Oia, o qualcosa del genere. Era preparatissima!
Ricordo che, ogni volta che risalivamo sul bus turistico, ci elargiva una sorta di acqua di colonia al limone (Limon Kolonia) per farci pulire le mani: sarà quello, io non lo so, ma nessuno è mai stato male, né ha mai sofferto di cagotto o altre malattie! 🙂

VISITE:
– ANKARA, con il suo museo Archeologico nazionale e quello ittita, il mausoleo di Ataturk, padre della Turchia moderna
– la Cappadocia, con la visita al sito di GOREME

e le chiede rupestri, i Camini delle Fate
– Caravanserraglio di Sultanhani
– l’antica capitale selgiuchide KONYA e mausoleo di Mevlana, padre dei Dervisci danzanti
– le cascate pietrificate di PAMMUKKALE, che ci deludono un po’: non sono più ‘calpestabili’, quindi te le godi da fuori.
– Aphrodisias e i suoi ritrovamenti archeologici (stadio, odeon e teatro)
– EFESO con ciò che rimane della meravigliosa Biblioteca di Celso

 la fontana e il tempio di Traiano
– IZMIR (e il favoloso hotel Hilton dove alloggiavamo!), con la visita all’Asklepion, il tempio di Telesforo e il pozzo Sacro dove lavorò galeno. I precursori della medicina, insomma!
– PERGAMO (dove essere accompagnati dalla Turban aveva il suo perché…per saltare le file!)
– TROIA (deludente!). Le rovine archeologiche lasciano ben poco all’immaginazione, e il cavallo di Troia (di cui solo oggi si scopre -per un errore di traduzione- potesse essere stato un tipo di nave) rifatto in maniera..misera.
– CANAKKALE (deve abbiamo alloggiato nel più scarso degli hotel previsti!)
– Stretto dei Dardanelli (esperienza bellissima!)
– INSTANBUL e la sua Moschea Blu

 Santa Sofia, la Cisterna sotterranea, i bagni turchi, il palazzo Topkapi e il meno famoso ma bellissimo palazzo Dolmabahce

 il ponte sul Bosforo, e ovviamente il Grand bazaar!

Abbiamo intervallato il tour con una settimana di mare a Bodrum, l’antica Alicarnasso, con relativo mausoleo. mare stupendo e di fronte la Grecia. Shopping: oro (19 k, non i nostri 24) e gioielli, artigianato in pelle e cuoio e…tantissimo vestiario di imitazione italiana (i falsi firmati, per intenderci).
Venendo da un po’ di giorni di tour, arrivare al nostro hotel e sentire da altri italiani che stavano andando via “qui c’è Fini”, ci ha ringalluzziti: già pensavamo alle scorpacciate di pasta che avremmo fatto. Pur non lagnandomi mai della cucina che trovo, e non cercando mai quella italiana all’estero, devo dire che ho avuto lo stesso l’acquolina in bocca.
Invece, nel salone da pranzo, le nostre speranze si infrangono davanti a un tavolo apparecchiato con tante bandierine italiane. L’ospite d’onore era un altro Fini! Mannaggia!!!!
C’era anche un giornalista sportivo ospite dello stesso albergo, ma non ne farò il nome: era davvero vomitevole il suo modo di mettersi in mostra davanti al politico (con tanto di uomini della scorta che, diligentemente segnavano tutto sul conto che noi italiani abbiamo pagato con le nostre tasse) allora molto in auge. Lui perfino simpatico, al contrario di moglie e figlia. Non che ci facessimo i fatti loro, è che l’albergo era semi vuoto, e quindi, giocoforza in spiaggia o in piscina, le facce erano sempre quelle!

NEW YORK 1999

NEW YORK – 1999

Maggio 1999.
Eh già, era lo scorso secolo e c’erano ancora le Torri gemelle. E pure le lire!
Comprammo voli e hotel tramite un sito di viaggi per giovani.
Il primo volo fece ritardo, e fummo costretti a trascorrere la notte a Londra, in un bellissimo hotel (l’Hilton!) vicinissimo all’aerostazione. A spese della compagnia aerea, per fortuna!
Dopo una colazione degna di un re, ripartimmo per la Grande Mela.
Allora non c’era ancora il terrore degli attacchi terroristici, e le incombenze della dogana le passammo alla svelta. Ci mettemmo di più a far capire al tassista dove dovevamo andare, di volta in volta! 
Girammo la città a piedi, per non perderci nulla.
Quando visitammo le Torri Gemelle, ricordo c’era un ascensore che faceva poco più della metà dell’altezza della torre visitabile (l’altra non lo era), poi dovevi cambiare. Ma salivano su in un battibaleno, contando che si facevano quasi mezzo chilometro in altezza!
Da lassù vedevamo un panorama ampio, pazzesco, con gli elicotteri mooolto sotto di noi, e le auto che erano delle capocchie di spillo. Il sole stava quasi per tramontare, la luce era bellissima. Solo l’inserviente del fast food era scorbutica e non capiva le nostre ordinazioni in perfetto inglese (ehm…). A volte mi domando se sia ancora viva.
Altro grattacielo, famoso per il film King Kong e con misure di sicurezza maggiori (…) è l’Empire State Building: bellissimo! Durante il percorso/fila vi erano appese delle bellissime fotografie. Era ovviamente più basso delle Twin Towers, però, lasciatemelo dire, più affascinante.

Il ‘grattacielo’ che più mi è rimasto ‘simpatico’ è stato quello vicino al nostro hotel (se così possiamo chiamare quella ciofeca! gestita da cinesi!): il Flatiron Building, detto anche ‘Ferro da stiro’.
Il ponte di Brooklyn, che collega l’omonimo quartiere a quello di Manhattan, l’abbiamo percorso a piedi. Si può fare! Ed è stato bellissimo!!!
Da Staten Island avremmo voluto prendere un ferryboat ed andare a vedere da vicino la Statua della Libertà: sbagliammo imbarco e prendemmo un battello già allora senza conducente. Così la statua la vedemmo relativamente da vicino e riuscimmo pure a ritornare al punto di partenza senza nemmeno pagare il biglietto: non c’era equipaggio a bordo!!
Ricordo un giro per tutta Little Italy, già all’epoca svuotata dai nostri connazionali che si sono spostati più in là in cerca di fortuna e in mano a band latine. Se vi capita, lasciate perdere: i ristoranti sono cari e finti (lo stesso dicasi per l’Hard Rock Cafè che ci fece pagare una fortuna un hamburger con cocoacola!).
Vale la pena, invece, noleggiare le bici e farsi un giro al Central Park: meravigliosamente grande e bello! 
Non ci siamo fatti mancare uno spettacolo a Broadway: per motivi linguistici, abbiamo preso un musical e…che dire? Lo spettacolo è cosa loro! 🙂
Al Metropolitan Museum ci vuole una guida ragionata in quanto bisognerebbe star lì giorni per vederlo bene e tutto! Ho pianto davanti all’autoritratto di Van Gogh, e non l’avevo mai fatto davanti a nessun quadro.

Questi sono ricordi sparsi, dopo vent’anni è già tanto che ricordi di esserci stata! 😀

Il coraggio che manca

Pensavo a quel signore invalido di colore ammazzato poco tempo fa, mentre gli astanti (pochi a dire il vero) filmavano il tutto.
Pensavo che a nemmeno uno di loro sia venuto un briciolo di coraggio per fermare l’aggressione. Ma poi mi sono domandata: ma io avrei fatto qualcosa per fermarlo?

E allora il pensiero è andato a tutti quei piccoli atti eroici che ci hanno portato all’Italia di oggi, liberata dai nazi-fascisti. E penso a quanto siamo stati fortunati che l’occupazione nazi-fascista non si sia compiuta ai giorni d’oggi. T’immagini noi tutti ribellarci? Arruolarci nei partigiani, farci torturare senza farci uscire un nome, contrattaccare, fare i galoppini a costo della vita, finire nelle peggiori carceri. Diciamocela tutta: ma chi lo farebbe? Al massimo, metteremmo qualche ‘pollice giù’ sui social.

L’acqua non si nega a nessuno

Domenica pomeriggio, in una spiaggia ligure privata, un caldo rovente, uno dei giorni più caldi degli ultimi anni.
Una giovane donna di colore, avvolta in un bel vestito giallo tipico delle sue zone (apprendo poi venire dal Senegal), un turbante in testa per difendersi dal sole cocente e…una bambina di 14 mesi dietro la sua schiena, avvolta in una fascia, che dorme beatamente.
La giovane donna vende quei piccoli libri, senza insistenza. Era accaldata e stanca. Ci accorgiamo della bimba, la fermiamo e lei ci chiede se può sedersi un attimo all’ombra.
Fanculo a tutto, le compro un libro anche se so già che fanno cagare.
Ma mi fa troppa pena la situazione, ed io mi sento in colpa e quasi ricca in confronto! Io, ricca. Sì perché per una che tutti i giorni si fa una/due ore di treno o forse più, tra andare e tornare, macina chilometri sulla sabbia rovente e sotto al sole cocente, tu sei ricca. Punto.

Mi offro di andarle a prendere un paio di bottigliette d’acqua. Una la finisce d’un fiato, l’altra mi chiede di metterne un po’ sulla testa (fasciata) della bambina.
Le chiedo se fosse sicura, visto che l’acqua era fredda da frigorifero e la bimba stava dormendo. Insiste. E gliela verso, svegliandola ed accorgendomi che la bimba aveva la testa fasciata da un suo pantaloncino, e che tra il pantaloncino e la testa aveva un pannolino imbevuto d’acqua, per evitarle colpi di calore.
Poi mi chiede di far bere la bimba, e lo faccio, a piccoli sorsi. E mia madre va a prenderle un’altra bottiglia d’acqua, mentre un altro paio di donne si avvicinano e le lasciano qualche spicciolo per la bambina.
Non vuole lasciare l’Italia, né tornare nel suo paese: qui ha assistenza sanitaria e la Caritas, che là non avrebbe.
E così, in silenzio, com’è arrivata, se ne va.
Ed io rimango lì, sotto l’ombrellone, sentendomi una merda per una distribuzione della ricchezza che non dipende da me.

Alla prova

Ci sono situazioni dalle quali non puoi scappare. Né aggirarle. Puoi solo ammettere a te stessa che non puoi fare altro che provare ad affrontarle. E così ho fatto.
Ho avuto la fortuna di incrociare, nel mio percorso, un bravo Medico del Lavoro, che mi ha consigliato delle sedute dalla psicologa.
Non ero mai andata da una psicologa, ma mi sono detta: se può servire a -almeno- mitigare questa situazione (lavorativa) di merda, andiamo!
Non posso cedere, sono studa di non dormire, di svegliarmi decine di volte di notte, di digrignare e consumare i denti, di avere crampi alle mandibole, di aver paura quando mi chiama. Lascio andare le cose. Cosa mi può fare? Cacciarmi? Lui, che è stato segnalato più volte? Non gli conviene.

Forte di questo, mi sembra di riuscire a rialzare un po’ la testa. E di sentirmi (ed uscirne) più forte.

Forse, sì: le cose vanno affrontate. Fanno paura, è vero, ma la cosa migliore è passarci dentro. E io sono contenta di averlo fatto. Di ‘ridurre’ quella paura e chi la genera.

Pazienza se ci rimetto ferie e permessi non firmati, carichi di lavoro esasperati. Ne guadagno in autostima.

E siccome la ruota gira, ogni tanto, adesso parrebbe che stia ricominciando a girare. Allora incrocio le dita, e aspetto quello che il Padreterno il Fato vorrà per me. Ho vinto io. Anche se continuo a prendere uno stipendio di merda per carichi di lavoro ben al di sopra delle mie competenze e capacità. Anche se per firmar le ferie sembra che godi a far aspettare. Anche se non firmi le ore da recuperare a fronte degli straordinari fatti. Anche se prendi uno stipendio a 6 cifre, sei e rimarrai sempre un omuncolo. Mi fai tristezza. Io, almeno, ho una dignità. Tu, no.

I furbetti del cartellino

Quelli che fanno gli straordinari per terminare un lavoro, anche se sanno benissimo che gli straordinari non sono mai stati pagati né mai lo saranno.

Quelli che perdono decine di ore di recupero (cosí si chiamano gli straordinari) perché il proprio capo non firma i recuperi. Che entrassero un po’ dopo la mattina!

Quelli che se si dimenticano di timbrare perdono le ore

Quelli che guai a uscire allo scadere preciso delle 7,42 ore giornaliere ( il contratto é di 36h settimanali, non 40): al capo pare brutto.

Quelli che fanno lavori di competenze piú alte. Ma guai a far notare che ti hanno assunto come infermiere e ti fanno fare il medico!

Quelli che a 53 anni, 34 lavorativi, prendono ancora e solo 1400€/mese: e lamentati!

Quelli che devono saper fare (e fare) anche il lavoro del collega e risponderne.

Quelli che la pausa caffé la fanno di corsa e alla macchinetta del caffé perché al bar sono lenti e c’è sempre folla.

Quelli che devono saper fare anche il lavoro del capo perché lui non sa lavorare

Quelli che quando escono per raggiungere altre sedi lavorative, interne o esterne, vengono rimborsati con due dita negli occhi (e a volte manco quello).

Quelli che per andare in missione fuori…devono per forza usare la propria auto, perché di aziendali non ce n’é piú, ma benzina, usura, multe e autostrade sono ca@@i tuoi.

Quelli che si devono sempre aggiornare, ma il loro capo no.

Quelli che si domandano “ma il mio capo che c@&&0 fa tutto il giorno?!”

Quelli che anche in mensa vengono disturbati per lavoro…

Quelli che durante la pandemia sono stati chiamati a dare una mano con le vaccinazioni e a seguire un corso per l’applicativo da usare e poi…con le mani ciao ciao….manco un grazie

Quelli che durante la pandemia hanno dato una mano ai sanitari, hanno fatto centinaia di telefonate, hanno portato il necessario a destra e a manca anche oltre orario.

Quelli che hanno fatto il turno di vaccinazioni saltando la Pasqua in famiglia ma battendo i record di inserimenti: un minuto a paziente

Quelli che le mascherine se le sono dovute comprare perché non bastavano nemmeno ai sanitari

Quelli che ai sanitari facevano arrivare le pizze per solidarietà

Quelli che spesso si sentono chiamati ‘statali di merda’, ‘i furbetti del cartellino’

Si parteeeee!

Il giorno prima.

La valigia crea non pochi stati d’ansia alla maggior parte di noi, ammettiamolo. Io la combatto scrivendomi una lista delle cose da portare, qualche giorno prima. E pazienza se scordo qualcosa: nel caso, se si puó, la si compra.

Il giorno della partenza.

Ho preso i biglietti? E il ticket del parcheggio? L’indirizzo per il navigatore? Carta d’identità? Carta di credito? Patente? Cellulare? Insomma, prima di partire ci vuole il check di mezz’ora.

Quando arrivi al parcheggio, quasi ti dispiace lasciare l’auto. Io, una volta, dal rimorso, ho prenotato anche il suo lavaggio!

Una volta, i parcheggi ti controllavano i segni dell’auto: ora manco quelli! Si sale sulla navetta e via, di corsa all’aeroporto!

Ormai le navette, come ogni altro automobilista, ha i minuti contati per lasciarti in aeroporto, così ti scaricano senza troppi complimenti, e se ne vanno. E tu rimani lí, entri in aeroporto a testa in su, un po’ spaesato all’inizio. Cosa devo fare? Dove devo andare? Possibile che nessuno crei un piccolo vademecum?

Arrivi al check in per lasciare i bagagli e preghi che la tua valigia non superi i kg a disposizione, ma sei pronto a metterti addosso varie cose, alle peggio, o stipare qualcos’altro nel bagaglio a mano che giá é colmo. Colpa delle compagnie di volo: prima imbarcavano tutto tranquillamente, poi ci hanno abituato alle cappelliere e ai bagagli sempre piú piccoli, poi retrofront: volete imbarcare? Pagate! Ma pagate pure lo stesso (e la cifra cambia poco) se portate il bagaglio in cappelliera. Ma c’é una novitá. No, non é il pranzo o la cena, che una volta ti servivano a prescindere. Sono i posti: sempre piú appiccicati, cosí inseriscono piú file. Per la gioia degli spilungoni.

Cosí si assistono a scene di ‘alleggerimento’ dei bagagli, e giá che ci siamo, vediamo che portano gli altri! Poi si va verso i controlli di sicurezza. E butta le bottiglie, e tira fuori cellulari e tablet, cinture e monete. Un vecchietto mi chiedeva se doveva togliersi anche la sua dentiera mobile! Ai piú sfortunati, via anche le scarpe, cosí ci metti un tempo in finito a rimettertele, specie d’estate, coi piedi gonfi! Maledetti!

E non parliamo di quando il metal detector suona e ti devono perquisire: io soffro il solletico!

E anche questa é fatta! Partire in aereo é un po’ come fare il gioco dell’oca o la corsa ad ostacoli. Ora devi cercare il tuo gate, ma soprattutto come arrivarci, visto che il percorso é infrattato tra i duty free. E quando arrivi, le sedie non bastano quasi mai per tutti, che nervi!

Senza diritti

Rientro nella categoria degli ‘statali’ (più o meno). Quelli che tutto il paese addita come fannulloni, scioperati, nullafacenti, furbetti, inetti, incapaci, e chi più ne ha….
Dal 2015 sto facendo domande di trasferimento perché il mio contributo lavorativo in un’area troppo tecnologicamente avanzata si stava riducendo. E non mi piace né girarmi i pollici, né vedere il collega accanto a me consumarsi dal troppo lavoro.
Domande invane: quando lavori bene, nessuno ti vuole lasciare andare via.
E pure quando lavori così-così: perché più persone hai ‘sotto’ più vali o più sei pagato, chissà… Fatto sta che nel pubblico odiano cedere personale senza sostituzione.
Nel 2018 sono stata spostata per aiutare un determinato settore che stava all’interno di un settore più grande.
Nel 2020 c’è stato l’inferno della pandemia, ma anche i pensionamenti di vari colleghi: da 5 unità scendiamo a 2. E il lavoro è rimasto lo stesso.
Ci barcameniamo, ma riusciamo solo a galleggiare. E’ frustrante sapere che puoi fare di meglio, ma non si ha il tempo né le risorse.
Poi veniamo assorbite da un altro settore in fase di ingrandimento perché più ‘appoggiato’ di altri settori.
E col capo più …. – sto cercando le parole meno scurrili, perché scrivere PEZZO DI MERDA mi pare volgare – frustrato, complessato, arrogante, narcisista, manipolatore che io abbia avuto.
Qui gli straordinari non esistono: cioè, DEVI farli, ma non sei pagato e ti fanno recuperare le ore solo se hai avuto il PERMESSO di fare gli straordinari! (sic!).
L’anno scorso ho perso 27 ore. Niente in confronto a di tanti altri colleghi.
E ancora meno rispetto ad un settore rimasto un po’ in crisi, cui hanno sospeso le ferie!
Anzi, qui l’autorizzazione alle ferie è visto come uno strumento di ricatto.
Il mio capo può permettersi qualsiasi vessazione: oggi sono stata dal capo del personale, che m’ha rimbalzata. Non può fare niente. Nemmeno se sei super-oberata di lavoro, o caricata di compiti che non spettano a te. Come un infermiere che lo costringono a fare il medico, per far capire.
Può urlarti contro, puntare il dito, mandarti in esaurimento (io sono momentaneamente seguita dalla psicologa della mia azienda dove lavoro), ma nessuno ti può salvare.
Non puoi nemmeno chiedere il trasferimento: l’ok te lo deve dare proprio il tuo capo, cosa che non farà MAI.
Il capo del personale mi ha consigliata di aumentare le gocce di valium….
Quando parlano male degli statali mi fa male. Perché nelle mie condizioni ci sono fin anche troppe persone. I sindacalisti non ci difendono. Ottengono qualcosa per se stessi, o altre categorie fuorché quelle degli impiegati.
Dovrei mettermi a fare veramente “la statale”, non fare niente o mettermi in malattia. Ma il mio capo è così str…aordinario che ti fa chiamare dalle colleghe.
Sì, certo, hai un lavoro sicuro. Vabbè, sottopagato, con pochi diritti, ma sicuro. Sì, vabbè…

Ah! Le cure dalla psicologa sono a mio carico…

Il pensiero crea la forma, ed io non me ne vergogno

Ormai sono arrivata a pensarlo intensamente, ogni giorno: spero che venga promosso a mega direttore chissá dove ma non qui. O che muoia. Nel sonno, o come sia, non occorre che soffra. Occorre l’eliminazione fisica.

Chi si fa forte della sua posizione per schiacciare i suoi sottoposti, per ottenere anche dietro menzogne, per arrivare ai suoi scopi mandando al manicomio i suoi, non merita di vivere. Merita una scaricata di botte, che comunque non lo cambierebbe.

Perché un pezzo di merda frustrato resta tale anche si improfuma.

Dalla psicologa

Il medico del lavoro mi ha trovata troppo stressata e mi ha spedita dallo psicologo.

Invece di segnalare (anonimamente, per evitare ritorsioni) il capo, causa di tutto e giá conosciuto per altre segnalazioni, io devo andare dallo psicologo. Io! Non lui, io. Non lui, che sfoga sadicamente la sua frustrazione di piccolo uomo.

Vabbé, magari mi puó aiutare: vado.

Risultato: buco nell’acqua. A detta sua, sto reagendo bene.

Peccato che mi sveglio quaranta volte a notte e digrigno talmente tanto i denti che mi fa male la faccia!

Avete un killer da passarmi?

Almeno ci ho provato

Posso dire di averci provato più o meno in tutti i modi a cambiare lavoro:
– ho contattato il Sindacato più in auge;
– ho scritto al capo del Personale per essere spostata ovunque;
– ho chiesto un appuntamento (invano) col Direttore Amministrativo d’Azienda;
– ho chiesto una ‘raccomandazione’ alla segretaria del Direttore Generale (anche questo, invano);
– ho provato a giocare al SuperEnalotto, al Lotto, al Gratta&Vinci, ma niente: la Dea bendata a me proprio…non mi vede!
– ho provato a pensare positivo: un filosofo diceva che il pensiero crea la forma, ma né il mio capo muore (metaforicamente parlando), né hanno spostato altrove me o lui…

Al peggio non c’è mai fine…

Già. Di male in peggio. La pandemia, il capo nuovo, la guerra in Ucraina…
La pandemia mi e ci ha isolato un po’, la guerra in Ucraina mette paura e ci svuota le tasche col caro bollette e caro spesa.
Ma quel che è peggio – per me – è il nuovo capo intransigente: ormai non dormo più una notte filata, digrigno i denti, ho il volto tirato, sono più nervosa.
Lui fa solo il suo lavoro e i superiori non hanno niente da obiettare perché i lavori vengono portati avanti. E io sto nel tritacarne.
Lo so che è dappertutto così, ma passare dall’esatto opposto dopo una ventina d’anni è traumatico. Prima avevamo altri capi più ‘rilassati’, basta che portavi avanti i tuoi lavori.Ora anche chiedere un giorno di ferie per andare ad un funerale diventa un’impresa.
Perché qualcuno più frustrato di te deve sfogarsi, sentirsi importante, sentire il coltello dalla parte del manico.

Poveracci.

Sanremo 2022 – prima serata

Puntuale come le tasse, arriva la manifestazione più amata e seguita del paese, inutile nasconderci dietro un dito.

E io la seguo con lo stesso gruppo di amici, da almeno una trentina di anni.

Alla faccia degli snob.

Achille Lauro: deja vu e deja sentí. Poteva fare qualcosa in piú. P.s.: ma a chi deve provocare ancora? Mi stufa…

Human: bella voce e bella canzone anche se non originalissima.

Noemi: un plauso al coraggio di sperimentare e cambiare. Peccato che non sappia proprio scegliersi gli stilisti.

Morandi: echi degli anni sessanta…boh, non saprei che dire…

La rappresentante di lista: orecchiabile questa di lady gaga de noantri

Michele Bravi non ancora pervenuto

Massimo Ranieri deve avere problemi con gli auricolari perché quasi stona

Mahmood bravo autore ma la sua voce proprio mi urta. Comunque, lo danno favoritissimo…

Ana orecchiabilissima, non mi dispiace

Rkomi non ho capito né come si pronuncia né come si scrive. Ha scambiato Sanremo per una convention della Harley & Davidson…

Darge d amico…come ti hanno fatto entrare? Con tutti igiovani bravi che son rimasti fuori!

Nel mentre richiamano a cantare le canzoni dello scorso anno nonsisaperché..

giusy ferreri: l’amy winehouse de noantri. Poteva gestire meglio il suo talento… canzone da riascoltare

Passo poco…

Lo so. E mi dispiace. Ma quello che sto vivendo non é affatto un buon periodo, e niente lascia a sperar meglio per il futuro.

Da settembre 2021 é arrivato un nuovo dirigente. Che ancora oggi nulla sa di noi, due sopravvissute, del nostro lavoro, dei nostri carichi e di quello che fa il nostro ufficio. Né gli interessa più di tanto saperlo, visto che di e per qualsiasi cosa non può gravarsi anche di questo, non può seguire quello, e per qualsiasi problema trova una soluzione (superficiale) che ricade ovviamente su di te, oppure…sono cazzi tuoi. Non so se per farsi carico del nostro ufficio prenda soldi in piú, ma spero di no, visto che é pagato con soldi pubblici.

E nemmeno considera che prima eravamo quattro impiegati e un dirigente lavorante. Anzi, quasi fa una colpa a noi impiegate superstiti se gli altri lavoravano poco (secondo lui, che manco sa cosa facciamo), manco li avessimo assunti noi!

E questo é niente.

Il fatto é che é molto aggressivo nel modo di porsi, ed é bravo con le parole a girarle a tuo svantaggio. E alza la voce. Intimorisce. Ordina. Non é un caso che negli uffici che dirige vi siano solo donne. I due uomini che ha avuto se ne sono andati. E io non riesco ad affrontarlo. Per la prima volta in vita mia devo ammetterlo a me stessa. Non riesco ad affrontarlo.

É da settembre che non dormo una sola notte senza svegliarmi. Mi assale l’angoscia. Le colleghe degli altri uffici che dirige stampano tutte le mail, scrivono tutto. Perché oggi pensa mela, domani pesca e dopodomani pera. Come fai, sbagli. E sono cazziatoni. Tutte vogliono andarsene, ma nessuna ci riesce. Io sono sette anni che faccio domanda di avvicinamento. Ricevo sempre un no e ci riprovo l’anno dopo. Ora insisto. Ma non é facile contattare, tantomeno essere ricevuti dai direttori supremi. il lumicino della speranza si sta spegnendo. Io cerco di sopravvivere facendo pensieri positivi. Il pensiero crea la forma. Poi se qualcuno lo volesse promuovere…in un’altra azienda, noi gli saremmo grate!

Un cane in eredità

5 settimane fa é morta mia zia.

La zia che ho vissuto di piú, quella da cui andavo da piccola quando mia madre non stava bene, quella che mi faceva le punture con la siringa di vetro sterilizzata… Quanti ricordi!

E così, in maniera del tutto naturale ho acconsentito a tenere il suo cane che già da tempo curavo quando lei era via. Una chihuahua.

Non ho mai tenuto cani. Ho avuto solo conigli: Arturo, una decina di giorni poi restituito all’associazione perché ostile. Strufolo, l’amore della mia vita, con me per ben 11 anni e mezzo. E poi Bartolo, poco più di un anno e ceduto al fidanzato di un’amica perché incompatibile alla vita di appartamento. É andato al Sud, in un bel giardino, con altri animali (pare avesse fatto comunella con una lepre), dove é morto a 8 anni. In un bel prato, accudito e felice.

Certo, avere il cane é strano: non devo comprare e mettere il fieno né andare continuamente andare dall’ortolano; niente pellets, niente carote… Ovviamente NON gli do carne di coniglio, giammai! Ha meno alimenti in comune con me, non gli do l’insalata che mi avanza, le bucce della frutta, etc. Insomma, non mi fa l’umido 😆

ORGOGLIO

Questo abete l’ho piantato io e la mia famiglia, una quarantina di Natali fa.
La foto non è recente, oggi è ancora più alto e più bello. Mi riempie d’orgoglio ogni volta che passo a trovare i miei genitori e lo vedo lì, dove una volta, in quel giardino condominiale, venivano addirittura le spose a farsi le foto, tanto era bello e curato.
Oggi, l’abete è più alto delle case che lo circondano, e non posso non pensare chemi sopravviverà.

Forse dovremmo tutti piantare un albero. Prendersene cura.
Nell’altro ospedale dove lavoravo, sono cresciuti alberi da frutta: probabilmente qualche paziente inconsapevolmente ha piantato le basi buttando via qualche frutto. Così gelsi, ciliegie, fichi, mele contornano i vialetti del piccolo ex nosocomio bollatese. Ex perché qualche politico deficiente ne ha voluto decretare la fine per aprire le porte ad altro, ad altri servizi, ad altre entrate, ad altre ‘elargizioni’, ad altri compensi…. Politica bastarda! Chiusa parentesi, e chiudo anche il post. Grazie per aver letto queste righe strampalate!

Questi fantasmi!

No, non mi riferisco alla grande Commedia di Eduardo De Filippo, ma a quei bonaccioni che vanno a caccia del brivido, scomodando fantasmi, voci, presenze, occulto, etc.

E’ di oggi la notizia che il vecchio ospedale di Garbagnate Milanese, storica struttura posta sotto la “tutela” delle Belle Arti (ma lasciata da anni andare in degrado), è ormai diventata luogo di incursione di esploratori di ogni genere: da quelli che vogliono solo testimoniare il degrado di questa grande opera fino a quelli che si divertono a commettere vandalismi nonché coloro che vanno a caccia di presenze spiritiche.

E la cosa non mi può che far ridere: fino al 2015 ci ho lavorato in quell’ospedale! E quando vedo su YouTube i video delle varie incursioni alla ricerca del brivido, non posso far altro.

2021 CAPO-DANNO DI MERDA

L’unica nota positiva è che sono riuscita ad andare a Dubai, e poi vi racconterò in altro post.

Il 2021 si chiuse con una grande mancanza: da un mese è venuta a mancare mia zia, mia vicina di casa. Ho tenuto con me il suo cagnolino, una pianta e un mappamondo un po’ sbiadito. Sulla zia salto a piè pari, sennò mi metto a piangere.

Per il resto, lavorativamente parlando, è meglio che non penso al peggio perché…al peggio non c’è mai fine: a Settembre ci è stato assegnato un capo la cui nomea posso confermarla, e la cosa NON è positiva. Ma poi pensi: vabbè, quanto meno, il suo ufficio è 2 piani sopra il mio. Così cercavo di tirarmi un po’ su il morale, e invece…da Dicembre sta cercando di portare me e la mia collega nei suoi uffici, dove non vola una mosca, dove il lavoro è ancora più schifoso di quello che faccio, dove si è obbligate a stare a disposizione oraria (non è che te ne puoi andare quando è finito il periodo orario contrattuale!), a lasciare il numero di cellulare personale per essere sempre raggiungibili per ogni evenienza, dove gli straordinari non sono pagati (ma come in tutte le aziende pubbliche), e dove le ore di straordinario non puoi recuperarle perché ti piazza mille difficoltà e non te le firma (e il mese di Marzo vengono cancellate dal sistema). Io sono fortunata perché ne ho solo una trentina. L’altra mia collega ne ha un’ottantina. La settimana contrattuale è di 36 ore settimanali…

Così, non puoi prendere appuntamenti nemmeno un’ora dopo l’orario in cui dovresti uscire, perché non puoi mai sapere a che ora puoi uscire.
Non puoi ricevere telefonate private, o quanto meno cerchi di essere il più breve e conciso possibile, perché il capo lascia la porta aperta e ogni tanto fa dei blitz in ufficio.
E soffre di qualche postumo che gli avrà lasciato il servizio militare: mai lederne la maestà!

Così sono fortemente convinta che non vi sia fine al peggio. E cerco di sopravvivere.
E sono così angosciata che farei cambio lavoro con un qualsiasi ‘cuppista’ (operatore del CUP, centro prenotazioni, quotidianamente vessato dall’utenza che, non sapendo su chi altri rimbrottare, scarica su di lui le magagne del sistema).

Prego di vincere la lotteria solo per licenziarmi. O progetto di metter via un po’ di soldini per potermi permettere di stare un anno in aspettativa, così che quando rientro, magari, mi mettono in un altro ufficio….sempre ammesso e non concesso che il capo accetti, mica che gli gira di trovare una necessità di altro personale e torno da lui…!

Il 2021 vede anche ammalarsi mio padre di Covid, ma al momento sta reggendo bene. Prego solo non lo prenda mia madre che è più cagionevole di salute…

Per il resto…sono così depressa che non c’è niente che mi riesca a far vedere il cielo azzurro.

DUBAI ARRIVO!!!!

E finalmente, dopo l’anno orribile targato 2020, e l’anno 2021 che non è partito proprio in ottima forma, si ritorna a viaggiare.

La scusa, la molla di questo viaggio, è stata l’EXPO, già programmata per il 2020, ma che abbiamo dovuto disdire causa Covid-19. Questa volta ci riproviamo con meno anticipo, giusto per essere più prudenti.

E così, ritorniamo anche al fai-da-te o quasi, comprando noi direttamente i voli diretti (unica compagnia a fare Milano-Dubai è la Emirates: toccherà ‘sacrificarci’ e testare la migliore compagnia aerea al mondo. 520€ che comprendono 1 biglietto valido per una giornata intera all’Expo e l’assicurazione sanitaria.
Per continuare a darvi delle cifre, tramite Booking abbiamo scelto l’hotel accuratamente vicino ad una fermata della metro: Dubai non è propriamente una città a misura di pedone (un po’ come Los Angeles), ma dato che siamo poverelli, ci siamo accontentati di un 3 stelle modica cifra di 400€ a camera (doppia), con prima colazione.
infine, tanto per dare altre informazioni, abbiamo prenotato anche il transfert hotel/aeroporto sempre con Booking, pagandolo una quarantina di euro.
Quindi, con nemmeno 750€ abbiamo prenotato voli, transfert, 6 notti in hotel con prime colazioni e biglietto Expo, risparmiando circa duecento euro da quanto proposto dalle varie agenzie di viaggio (in hotel a 4 stelle, però).
Thats all (per ora)!

‘A spiga

Stasera ho aperto un barattolo di mais e l’occhio m’é caduto sulle kcal contenute: tante quanto pane o pasta.

E allora il pensiero va a quando, piccolina, in visita ai nonni, mia madre mi comprava ‘a spiga, ovvero la pannocchia abbrustolita o bollita che improvvisati disoccupati cucinavano e vendevano per la strada, in prossimità di negozi o mercati. Senza osservare, appunto, le calorie contenute. La consapevolezza. Quella che fin troppo manca. Ignoranza. Ecco (anche) perché siamo tanto in sovrappeso.

E continuano ad affermare che la Sanità Lombarda sia un’eccellenza!!!

Si invecchia, c’è poco da fare. Noi, i nostri genitori, i nostri parenti, gli amici…
E dobbiamo cominciare (se non continuare) a fare i conti col medico di base, con esami, visite, prestazioni, richieste, ricette, prescrizioni, presidi, ausili….

Non ho mai avuto una salute di ferro, per cui spesso mi trovo a rimbalzare tra il medico di base, l’ambulatorio, l’ospedale, etc.
E devo constatare il continuo trend di Regione Lombardia settore Sanità: la spinta a mandarci a chiedere sempre più prestazioni ai privati convenzionati e non.
Convenzionati= paghi il ticket some una qualsiasi prestazione del Servizio Sanitario Regionale.
Non convenzionati= paghi e basta. Come una qualsiasi prestazione privata.

Il Covid ha peggiorato le cose, o meglio: le hanno peggiorate chi vuole dare un’accelerazione al programma.

Così le liste di attesa sono protratte all’infinito e tu sei costretta a fare tutto privatamente. Pagando, certo.

Ho male a una spalla. Questo è un dolore nuovo di zecca! Il mio medico mi ha prescritto un’ecografia entro 10gg. Chiamo il numero verde regionale che mi dice che nella mia zona non vi sono strutture che possano soddisfare la mia richiesta.
E che faccio, quindi? Vado in un centro che le esegue privatamente. 50€.
Occorre una terapia di onde d’urto. Che costano, quindi perché non riprovare col SSR?
Eh, ma devi farti fare l’impegnativa dal medico di base ma NON per le onde d’urto: per il Fisiatra, perché è uno specialista che deve prescrivertele, non un generico medico di base (che a sto punto mi chiedo cosa lo paghiamo a fare!!!). POI, se il fisiatra concorda, ti scrive il piano terapeutico, dopodiché vai in una struttura pubblica che esegue le onde (mica tutte le strutture le eseguono!) e se il piano terapeutico viene accettato, ti chiameranno a farle.

Questa è eccellenza?!

Potrei fare MILIONI di esempi.
E’ che invece di concentrarsi sugli assistiti, sperperano soldi a destra e a manca. Persino nel MARKETING! Ma il SERVIZIO PUBBLICO ha bisogno del marketing???
Ha bisogno di pagare MAGGIORMENTE direttori e dirigenti, tramite OBIETTIVI, raggiungimenti di RISULTATI e quant’altro per camuffare entrate EXTRA – oltre agli stipendi?!
Finiscono i cuscini e le coperte, mancano le semplici ciambelle per gli operati alle emorroidi, ma apriamo altri uffici per dare altra dirigenza ai raccomandati.
Troppo sperpero, quando paga Pantalone!
Voglio vedere se pagassero di tasca loro se non gli va bene l’arredamento, ogniqualvolta cambia un direttore generale! Voglio vedere se non gli basterebbe la Panda aziendale!
Mi sembra di vedere sempre più la forbice tra i dirigenti da una parte e medici e infermieri dall’altra. I primi che non sanno o fanno finta di non sapere cosa ma soprattutto come fanno gli altri.
Ma d’altronde, il peso delle raccomandazioni politiche e quindi delle linee politiche da seguire, si fa sentire…
Che tristezza. Eppure, ammetto che i soldi spesi negli slogan sono soldi ben spesi: tutti pensano che la sanità lombarda sia la migliore d’Italia. Non voglio pensare come siano le altre!!!

Nuove prove

Ho avuto un incubo.

Ho sognato che il mio ufficio veniva assorbito da un’altra area avente un dirigente poco capace e molto stronzo, a detta di chi l’ha conosciuto.

Io non l’ho conosciuto, quindi non posso parlare più di tanto. Ma faccio un fioretto: se non finiamo sotto di questo esserespregevole, vado a piedi per il Camino de Santiago.

Dapprima, un’euforia mi prese in sogno: il Camimino di Santiago! Sì, bello, si può fare, certo, con molto allenamento, grande dedizione. ma piuttosto che finire sotto l’innominabile…

Poi, nel sogno, qualcosa si increspa. Qualcosa di imprevisto: l’essere si fa amico del mega direttore generale. E addio speranza. I giochi sono quasi fatti, manca una firma. E qusta firma, nel sogno, non arriva mai… E intanto io mi domando, noi tutti ci domandiamo come abbia fatto, un essere del genere, a star in vetta, a non esser sommerso, allontanato. Come fa un incapace a dirigere, a recepire un lauto stipendio nonostante tutti sappiano che non sa un cavolo. Come fa? Da chi è protetto? Chi lo raccomanda? Perché la meritocrazia non esiste nemmeno in sogno???? Perché i politici devono essere così influenti? Che favori si scambiano? Qual è la merce di scambio? Perché il dott. A dovrebbe fare un favore al dott. B o per il dott. B verso il dott. C? Quanti migliori direttori stanno a spasso perchè non hanno la tessera?

La voglio anch’io la tessera. Che tnto, son trent’anni che lavoro e non posso aspirare a nessun aumento di grado né di stipendio. Trent’anni che paro il culo a gente che manco sa lavorare, penso. Nel sogno, certo.

Mi sveglio e penso se è questa l’Italia di oggi. Forse il sogno esagera. Caratterizza. Ma d’altronde… è un sogno, mica la realtà!

I bambini d’oggi

Classe 1969.

Quand’ero piccola, figlia di due giovani migranti napoletani, lavorava solo papà. Mamma si era dedicata alla nostra crescita ed alla tenuta della casa. Arrotondava un po’ lo stipendio di mio padre – che pure faceva un secondo lavoro – facendo piccoli lavoretti: ricordo che cuciva i bottoni dei camici da lavoro, in cucina.

Soldi ne entravano pochi, tra affitto, bollette, spesa e cambiali per i mobili.
Mia madre, per cercare di non sforare il budget, ricordo che ci vestiva al mercato settimanale. Penso a quelle tute e a quelle scarpe da tennis che facevano un po’ il verso a quelle ‘di marca’ (non erano ancora propriamente ‘griffate’ negli anni 70) e penso ai bambini di oggi, con le loro tute e le loro scarpe da non so quanti euro! E penso all’amica che piange sempre miseria, ma poi compra al figlio le Nike Air-qualcosa, che costano ben più di un centinaio di euro (che, scusate, ma per me resta un prezzo inaccessibile!).

Ricordo i miei unici due tornei di tennis dei Giochi della Gioventù. Amavo il tennis e mi incantavo a guardare su TeleMonteCarlo le partite, commentate da Lea Pericoli, di Borg e McEnroe, Connors, Agassi, etc.
Il primo torneo lo feci con una racchetta da gioco. Nel senso vero e proprio: era finta, con le corde bicolore, bianche e blu, in plastica. Ridicola. Arrivai seconda, ma ad onor del vero ci eravamo iscritte in otto!
Il secondo torneo, in quinta elementare, mi vede arrivare prima, sempre tra 8 iscritte, ma stavolta con la racchetta Maxima – allora di legno – comprata per l’occasione insieme ad un tubo di palle (allora erano bianche, e da poco si stavano affacciando sul mercato quelle gialle fosforescenti che si trovano oggi) nuovo di zecca, mica come quelle che raccattavo in giro nel centro sportivo!
Nè alla prima finale né alla seconda, i miei mi vennero a vedere, troppo presi dalle loro cose di adulti, o forse troppo noncuranti, chissà.
E penso ai bambini d’oggi, che quando appena giocano le loro partitelle, hanno una schiera di mamme, papà, nonni, nonne, zii e zie a guardarli! Un po’ li invidio, perché io non li ho avuti. Ma un po’ mi fanno tenerezza, con quei troppi occhi addosso!

Soldi non ne giravano a casa. Quando la frutta scarseggiava, e quindi era troppo cara, ricordo che mio padre comprava una cassa di succhi di frutta in bottigliette di vetro, piccole.
Non so perché, quello che mi è mancato e che tanto volevo, erano…le gomme da masticare Big Babol! Ma sapevo che i miei erano poveri e non osavo chiedere.
Poi penso ai bambini di oggi, a cui viene chiesto persino cosa vuoi per pranzo o per cena…! Altro che Big Babol!!!

Per non parlare di mia sorella minore, che si prendeva i miei vestiti dismessi ancora in buono stato, o quelli delle figlie delle amiche di mia mamma! Insomma, c’era un giro di abiti dismessi che non vi dico, mica come oggi che si butta tutto così!

Eppure, se mi giro indietro, mi sembra che non mi sia mancato niente.

Imbarazzi

Qualche anno fa partecipai ad un concorso letterario. Fu preceduto da un interessante corso propedeutico – gratuito! – ed alcuni incontri. Si trattava di scrivere un racconto piuttosto breve calato nel mondo del lavoro del territorio locale.

Arrivai terza e fui invitata alla premiazione. Era la mia prima (e ultima) premiazione!

Alla premiazione scoprii che i primi classificati non si presentarono, quindi chiamarono me sul palco! Io non me lo aspettavo, e ancor meno mi sarei aspettata che mi rivolgessero delle domande! Cosí, alla prima domanda andai completamente in panico, non capii nulla della domanda e mi arrampicai sugli specchi per abbozzare una disastrosa risposta.

Dall’imbarazzo, non mi sono piú presentata ad altri concorsi: so perfettamente di valer poco come ‘scrittrice’, ma il terrore di salire ancora su un palco é piú forte di tutto.

Post Covid

I vaccini sembrano rallentare di molto la corsa del Covid19. Alla faccia dei no-vax, che non capirò mai come pensano di uscirne fuori da una pandemia senza vaccini.

Ma al di là di questo, penso al dopo. Al post Covid19.
Mi ha spento a poco a poco.
Non ho voglia di uscire molto spesso.
Non ho voglia di incontrare “laqualunque”.
Non ho voglia di avere gente appiccicata.
Non ho voglia di essere nuovamente stipata nei tavolini dei bar milanesi, uno addosso all’altro per guadagnare spazio, persino quello vitale.

Non ho voglia di sentire gente inutile. Di sorbirmi lagne e stronzate. Ma soprattutto, scuse.
Viva la sincerità.
Preferisco una persona che mi dica “non ne ho voglia, punto” piuttosto che scivolare sugli specchi.
Dobbiamo scrollarci un po’ la polvere e il superfluo di dosso. Tornare all’essenza, al minimal.
Tagliare i rami secchi o quasi. Non aver paura di rimanere soli, accettando per questo qualsiasi compagnia.

“Andrà tutto bene”, era lo slogan dello scorso anno.
Andrà (e, in effetti, va) tutto stretto, dico io. Co-stretta a rifarmi il guardaroba per una taglia in più presa. Ma gli abiti li puoi anche cambiare, trovare qualcosa che ti piaccia. Le compagnie un po’ meno…purtroppo.
Il Covid19 ha messo allo scoperto i limiti della gente, la nostra ignoranza, la nostra superficialità, le nostre paure, i nostri egoismi e i nostri menefreghismi. Difficile trovare belle persone. Ci siamo imbarbariti. Sembra di iniziare un periodo di regressione.
Spero di sbagliarmi. Incrocio le dita e vado avanti.

Las Vegas risto-pub

Nelle corti -sotto sfratto- di Castellazzo di Bollate (MI), dietro quel che è stata definita “la Versailles lombarda”, ovvero Villa Arconati, da che ne ho memoria c’è il mio pub preferito: il LAS VEGAS. Credo debba il nome, che niente c’entra nel contesto di vecchie cascine in cui si trova, ad un film girato lì, ma non chiedetemi altro.

Lo frequento fin dagli anni Ottanta e non è mai cambiato: internamente, il legno la fa da padrona, con pareti perlinate e tavoli e panche in legno scuro, il tutto ‘molto vissuto’. Non era certo il pub che se la tirava, soprattutto in quegli anni di edonismo, di gare a chi spendeva di più, della nascita dei ‘fighetti milanesi’. Lui, in controtendenza ed infischiandosene delle mode, proponeva un locale mai rinnovato e piatti e panini della tradizione.

In inverno, arrivare lì incuteva un po’ timore: le luci dei lampioni erano davvero fioche, e il luogo non è certo dei più tranquillizzanti: aveva un non so che da brivido, per chi non lo conosceva e ce lo portavo per la prima volta.

Dentro vi erano lo spazio e gli strumenti per una jam session improvvisata, ed era preso d’assalto in occasione degli eventi e dei concerti che si svolgevano presso l’attigua Villa Arconati, che dava il nome al famoso festival musicale, che tanti nomi importanti e famosi ha visto passare: personalmente ho visto Ruggeri, Mannoia, Ranieri, Silvestri, Chico Buarque de Hollanda, Angelique Kidjo, Battiato, Fossati, e tanti, tanti altri che non ricordo, ma uno su tutti: i Buena Vista Social Club!

Ebbene, come sempre, il profitto vince sempre, come i ricchi ed i potenti. E anche il mio pub preferito deve soccombere, nonostante la raccolta firme, le dimostrazioni di affetto di una clientela affezionata.

Ghost hospital

Abbiamo abbandonato l’ospedale di Garbagnate Milanese nel 2015. Io e una collega abbiamo fatto l’ultimo giro di ricognizione per accertarci che fosse tutto chiuso: porte, finestre e tapparelle. E che non ci fossimo dimenticati qualcosa. I manutentori misero i catenacci una volta svuotato di quello che si poteva recuperare, o regalare ad altri ospedali. Dopodiché, l’oblio?

No. Finché il tempo lo ha permesso, parecchi dipendenti, trasferiti nell’adiacente ospedale nuovo, facevano il giro del vecchio, vedendolo sempre piú andare alla malora.

Dopo poche settimane, la vegetazione cominciava a riprendersi i suoi spazi. In quelli che furono i terrazzoni dove mettere a prendere aria e sole i ricoverati del sanatorio, si cominciavano a vedere liane di edera. E i segni dei primi mascalzoni che, nottetempo, cominciavano a rubare il rame da ogni dove.

Di lí a poco, molte porte furono aperte, tapparelle tirate su, finestre aperte. Segno che le “visite” si stavano diffondendo. L’amministrazione, dopo aver chiuso l’elettricità, chiuse l’acqua, e credo che questo abbia impedito bivacchi e pernottamenti non temporanei.

La nostra chiesetta fu presa di mira da balordi che spaccarono l’altare di marmo ed incendiarono le panche di legno. Per fortuna, il sacerdote fece portar via fin da subito arazzi e quadri, ora nel nuovo ospedale, che inizialmente non prevedeva una chiesa ma un anonimo “luogo di culto”, e non prevedeva nemmeno i crocifissi né nelle stanze di ricovero né negli uffici, né da nessun’altra parte.

Il sanatorio – che curava le malattie infettive respiratorie- aveva due sotterranei che percorrevano tutte le ali dell’ospedale: il piano -1 era per il pulito, il -2 per lo sporco (lo scrivo per Striscia la Notizia che, senza documentarsi, fece un servizio ridendo ed ironizzando pel cartello “corridoio pulito”….). Questi sotterranei ci permettevano di arrivare agevolmente dappertutto senza bagnarci, in caso di pioggia. Infatti, senza i sotterranei, dai miei uffici avrei dovuto uscire per raggiungere le ali ospedaliere.

L’ospedale non l’avevano voluto mettere a posto da quando una QUINDICINA di anni prima si parlava di ospedale nuovo. Ricordo mia madre ricoverata in una camerata da sei posti, senza bagno interno, ma con le bacinelle a raccogliere l’acqua piovana!

Tutto l’ospedale non godeva nemmeno dell’aria condizionata. In estate, alle 8:30 del mattino in ufficio il termometro segnava 31/32 gradi! Era un supplizio! A fine giornata grondavi. Però, dalle finestre vedevi saltellare gli scoiattoli, e c’era gente che veniva a cercare funghi nel parco secolare.

Quando abbatterono 1200 alberi secolari….aspetta che lo ridico: MILLEEDUECENTOALBERISECOLARI per far costruire l’ospedale nuovo proprio affianco a noi, ogni abbattimento ci accapponava la pelle. A me veniva da piangere, non guardavo, ma quel rumore, per giorni e giorni….

E poi, la costruzione, con blocchi prefabbricati… quanto dureranno? Ora vediamo giá le prime crepe, mentre l’ospedale Santa Corona (poi G. Salvini) é sopravvissuto a due guerre mondiali ma non ai nostri ingordi interessi…

É l’Italia bella

Venerdí mattina mi presento, come da accordi, all’ospedale di Bollate, al mio vecchio, caro ospedale che ha visto i miei natali e la mia assunzione nel pubblico, per ricevere la giornata di formazione per le vaccinazioni anti covid.

Poco prima delle otto e mezza ero lá. Gli altri, infermieri, medici, amministrativi, tutti pronti. Sembrava stessero aspettando lo start per fare la maratona. E in effetti, era cosi. Proprio così.

Alle otto e mezza sono stata catapultata in un girone dantesco. L’impiegato che doveva istruirmi era una scheggia. Gli infermieri si affannavano ad andare avanti e indietro per recuperare vecchietti e portarli a vaccinarsi, previo step da noi per la registrazione. Registrazione che il mio tutor poco piú di ventenne compiva ad una velocità supersonica. Come se dovesse fare una gara. Non sarei riuscita a reggere quei ritmi tutti i giorni. per questo stanno assumendo giovani. E per questo mi sento cosí vecchia.

Ad un certo momento, il flussomdei pazienti é rallentato, con disappunto del personale che, angosciato, continuava a ripetere: di questo passo, vaccineremo tutti tra vent’anni!

Non ho mai lavorato né visto lavorare cosí velocemente. Con totale dedizione. E pure al freddo, dato che per arieggiare, si tenevano le finestre aperte.

In effetti, la location non é delle piú confortevoli. I pazienti fanno la fila, compilando i moduli, lungo un corridoio, e le sale di registrazione sono strette e lunghe, non proprio il massimo… Spesso, noi che eravamo al secondo tavolo ci dobbiamo alzare e andar fuori a prenderci letteralmente i pazienti, che altrimenti andrebbero tutti alla prima postazione messa davanti.

Non c’è nemmeno tempo per fare pipí. Anche perché non hai il cambio. Se ti scappa, devi fermare i pazienti e andare al bagno. Idem per il pranzo: hai nemmeno una ventina di minuti.

Per fortuna, ci pensa un’anima pia a portarci i caffé, regalati da chissá chi. Solo che ora che riesci a berlo, é giá freddo.

Di piú, con questi numeri, non si puó fare. La voglia c’è, ma manca una buona organizzazione, lasciata molto al personale, che si fa non in quattro: in otto, in dodici! Bravissimi. É l’Italia bella, quella che ti fa credere davvero che CE LA FAREMO!

Vaccinazioni Covid

Sono stata chiamata -come altri, persino i dirigenti!- ad aiutare ad effettuare le telefonate per chiamare determinati elenchi di persone per la vaccinazione.
Altri colleghi stanno dando una mano a portare i vaccini nelle nostre strutture periferiche, in mancanza di autisti. Altri si occupano della parte amministrativa o della parte sanitaria. Sabati e domeniche comprese.
Altri ancora stanno organizzando logisticamente proprio i siti adibiti a vaccinazioni anti-Covid, per poi fare e disfare i piani visto che Bollate è entrata in zona rossa. Insomma, ce la stiamo mettendo tutta, a dispetto dei vaccini che non arrivano.
Poi leggi i social, e ti viene voglia di mandare tutto affanculo.

Bollate zona rossa

Giovedì scorso i casi di covid/variante inglese.
Mercoledì mattina sapevamo già che saremmo diventati zona rossa a partire dalle ore 18.
Che senso ha partire dalle ore 18 non me lo spiego.
Così come non mi spiego che senso ha farci circolare.
Siamo contagiosi? Chiudeteci. Punto. Come fecero con Vò euganeo, con Codogno, etc.
Che senso ha chiuderci quasi una settimana dopo, e permetterci di uscire dal Comune per andare a lavorare (ed infettare)?!

Con tutta la buona volontà, il buon senso, la pazienza, il senso civico, ora BASTA.
Non hanno senso le zone rosse, arancio, gialle fatte così. I contagi non si fermano, la gente gira lo stesso. Chiudi i bar alle 18? E l’aperitivo lo spostiamo alle 16!
Chiudi i ristoranti per cena? E noi ci si organizza per pranzo!

Che senso ha, se non quello di avere sulla coscienza migliaia di lavoratori autonomi???

Giornata della memoria. Quella che cercano di farci perdere. Perché conviene a tutti.

“Con quel semplice gesto, con quel solo sguardo lui decideva chi doveva ancora vivere, per poco, e chi doveva subito morire.  Neanche un animale fa cose simili. Aveva l’autorità di mandare a morte migliaia di persone innocenti in un solo giorno…
Le ha tutte sulla coscienza.
Come poteva andare a dormire la sera?
E come avrà potuto dormire dopo la guerra tutti gli anni che ha vissuto?”

Cito Sami Modiano. Uno degli ultimi sopravvissuti.

La bestialità di quel periodo. L’inumanità.
Trattare i propri simili come fossero oggetti senza emozioni. Come se fossero meno delle bestie. Come se non avessero sentimenti, paura, disperazione.
Ma come hanno potuto? Con quale coscienza hanno vissuto?
Ma non si facevano un po’ schifo?
Evidentemente, no.
Basta guardare cosa succede nei territori africani martoriate da lotte intestine, per esempio.

L’animo umano è ben nero.

Rivoglio la mia vita di merda di prima!

Basta! Rosso, arancione, giallo…e poi i contagiati sono sempre tanti, come i morti. Qualcosa non sta funzionando!

I controlli forse? Mai visto un controllo.

É quasi un anno che seguo le regole, faccio vita quasi monacale, non vedo i miei piú cari amici, non vado a fare un giro in centro a Milano, non vado a mangiare una pizza, non abbraccio un’amica, non stringo una mano…

É quasi un anno che viaggiamo bardati, anche per andare alla macchinetta del caffé, mentre ti passa il sarcofago bianco, quello che dai reparti porta i deceduti in camera mortuaria. Da soli, con il solo portantino. Nessun parente. Ahhh, che bellu café….

E io non sono nessuno! Pensate ai commercianti, a chi ha o lavorava per bar, ristoranti, piscine, palestre…. Si palesa una grave crisi economica e questi che ci governano mi sembrano immobili e senza soluzioni…

Capisco che non deve essere facile, ma siete li apposta!

Sono seriamente preoccupata per l’economia, per i ragazzi, i bambini… E questi mi sembrano dormire… Abbiamo messo la quinta per fare piú vaccini possibili, e questi non arrivano….

Mi sembra di dover liberare l’acqua da una barchetta che affonda con una tazzina…

Dev’essere successo qualcosa…

State tutti bene?

Normalmente, per anni, direi sempre, ho avuto uno/due lettori quotidiani. A volte anche nessuno.

Da qualche giorno a questa parte, venti, trenta, addirittura quaranta! O WordPress sta macchinando chissá cosa, oppure…avete smesso di usare il lievito! 😃😁

Sicuramente sará la prima. Di certo, non possono essere i miei post. Comunque, se qualcuno ha perso del tempo a leggermi, lo ringrazio. Il tempo é prezioso e non torna piú indietro.

Grazie!

Il primo giorno di lavoro

Primo giorno di lavoro della figlia di una mia cara amica. Nel mio stesso ospedale. Emozionata. Spaesata.

Proprio come lo ero io, vent’anni fa.

19 giugno 2000. Ricordo ancora la data. E ricordo che entravo alquanto emozionata nell’ospedale di allora. Anch’io spaesata. E quanto mi dava sollievo vedere una faccia conosciuta tra le centinaia sconosciute!

I primo tempi furono duri. Venivo da una dozzina di anni trascorsi a lavorare come un mulo in una piccola ditta privata, a conduzione familiare. Poi le cose si misero male e tentai la carta del concorso pubblico. Cosa che fino ad allora avevo evitato come la peste. E invece, ero contentissima di averlo passato e prendere un altro posto fisso, nonostante lo stipendio piú basso di un terzo, stavolta dall’altra parte della barricata: per una dozzina d’anni ho lavorato per la medicina alternativa, e ora…in ospedale!

I primi tempi furono duri: le colleghe non si fidavano di una giovane, inesperta ragazza con un background nel privato. Troppo curriculum. Troppo brava. Poi, per fortuna, ebbi modo di farmi conoscere. Col tempo. Molto tempo. E quando mi trasferii in un altro ospedale, piansi. Piansi insieme alle mie colleghe.

Auguro a tutti di trovare innanzitutto un lavoro. Nemmeno io amo particolarmente il mio lavoro, ma mi reputo fortunata ad averlo, nonostante lo stipendio basso, il carico eccessivo, nessuna possibilitá di carriera e straordinari per cui non é contemplato il pagamento, ma che ti tocca fare. Auguro di trovare un lavoro, dicevo. Che piaccia o meno, e di trovare delle colleghe come ho trovato io, con le quali dividere pianti e abbracci.

Vaccino fatto! Comincio a vedere la luce in fondo al tunnel

Quando annunciarono che si era trovato un vaccino e che i test stavano andando bene, mi è venuto da piangere.

Stessa cosa quando hanno annunciato in tv l’inizio delle vaccinazioni di massa previsto da metà gennaio 2021 e poi anticipato leggermente.

Vedo, sentivo che la fine dell’incubo era vicina. basta zone rosse, gialle e arancio, basta chiedersi “Ma oggi che colore siamo? Possiamo uscire?”; ma soprattutto, basta saluti a distanza, basta tenersi a distanza, basta non abbracciarsi più, basta questa spersonalizzazione delle relazioni!

Mi manca viaggiare, ma mi manca ancor più vedere i sorrisi delle persone, stringergli la mano, abbracciarle, baciarle. Mi fa paura questo ‘congelamento’ dei rapporti, questo allontanamento. Sono mesi che non vedo alcuni amici! Mi mancano! E ho paura di perdere quelle flebili relazioni basate su un fortuito caffè.

E mi fa ancora più paura questa depressa rassegnazione che sta prendendo il sopravvento su di me. Mi sto abituando a stare a casa da sola, mi sto abituando a non voler nemmeno cercare davvero contatti, telefonare alle amiche….

E poi, improvvisamente, senza sapere nemmeno se rientravo nel personale sanitario che aveva il diritto di precedenza, mi arriva la convocazione per la vaccinazione (cui avevo dato adesione facoltativa)! Che felicità!
E io, proprio io che sono così avversa alle iniezioni, oserei dire proprio terrorizzata, non solo ho chiesto di anticiparmi al prima possibile, ma l’ho fatta senza battere ciglio!!!

E proprio io che li detesto, avrei voluto farmi un selfie per immortalare il momento, ma non ce l’ho fatta. Mi sono fatta scattare una foto dopo.

A distanza di un giorno, ho ancora il braccio indolenzito, ma va bene.
Non vedo l’ora di fare il richiamo tra 3 settimane!
Dai che si esce!!!!!!!!!!!!!!!!!

FANCULO, COVID!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Bye bye 2020!!!

E sono stata anche fin troppo signora: avrei dovuto scrivere

FANCULO 2020!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Però finisce con qualche bella notizia:
qualche giorno fa ho ritirato in anticipo il sintoamplificatore che avrebbe dovuto arrivare il 5/1; oggi sono arrivati i diffusori che sarebbero dovuti arrivare il 3/1 e, udite udite….oggi ho ricevuto l’appuntamento per fare il VACCINO ANTI COVID-19!!!!!!!!!!!!!!!

L’8 gennaio, se Dio vorrà, mi farò vaccinare. Non vedo l’ora di uscire da questo incubo!!!

Comunque, a parte queste belle notizie, è stato un anno DI MERDA per tutti e nessuno lo rimpiangerà. Poveretto. Non mi è bastato nemmeno andare in Normandia per farmelo rendere un po’ più simpatico. Quindi…..

FANCULO 2020!!!

La parte migliore della vita…

….sono gli amici.

Cosí recita un quadretto che mi hanno regalato.

Non lo so. Non ho mai avuto una famiglia mia, mia. Quindi é ovvio che la famiglia “di mia creazione” sia costituita dagli amici.

Mi mancano. Sono mesi che non li vedo. Mesi senza abbracci, senza contatti, senza risate, scherzi, pizzate, schifezze. Tutto surrogato da videochiamate, telefonate e messaggini.

Rivoglio la nostra vita!

Single in pandemia

Durante la prima ondata ho vissuto il lockdown quasi con un sospiro di sollievo: non devo rispondere o creare appuntamenti e ritrovi. Niente visite ai parenti. Un rinchiudersi in casa, che diventa nido.

Poi, piano piano, si torna a una parvenza di normalità. Mascherata, ovvio.

Ma ora che é arrivata la seconda ondata, che abbiamo superato i sessantamila morti, sono stanca. Stanca di stare da sola e di non veder quasi nessuno. Lavorando in un ospedale Interamente Covid, é meglio non rischiare di infettare involontariamente nessuno. Il Covid é una brutta bestia. Il pranzo con un’amica infermiera, i caffè spesso da sola. L’isolamento fiduciario a casa…

Basta! Non ce la faccio piú!

Voglio andare a fare colazione al bar, prendere il caffé con le amiche, le pizzate con gli amici, abbracciare i miei genitori, rivedere mia sorella, il mio nipotino… Basta!!!!

Claudio Baglioni – Il cantante di famiglia

Con l’uscita di “Avrai”, 45 giri che celebrava la nascita del suo unico figlio, Giovanni, la cotta adolescenziale per Claudio Baglioni esplode alla grande.
Ritagliavo qualsiasi fotografia o articolo di giornale, guardavo qualsiasi programma ne parlasse o lo avesse come ospite, costringevo i miei genitori a sorbirselo quando andavamo in auto da qualche parte…
In realtà, ai miei piaceva, e devo ammettere, piaceva a tutta la mia famiglia. Forse solo i nonni non lo conoscevano. Ricordo che se a mia nonna chiedevi se le piaceva Baglioni, ti domandava “Bagnoli?” (che è un quartiere di Napoli dove risiedevano i miei nonni).

Insomma, piaceva un po’ a tutti, dalle cugine agli zii. E questo era bello perché potevo condividere una passione. E dici poco!

Inizi anni Ottanta

Agli albori degli anni Ottanta inizia la mia adolescenza e la mia passione per Claudio Baglioni. Certo, un po’ troppo grande per me con i suoi 18 anni in più, ma con quella tenerezza insostituibile. Conservo ancora i diari scolastici delle scuole medie e superiori con le sue foto attaccate, con le sue frasi riportate in mille colori, gli articoli di giornale incollati; diari che si facevano passare tra la proprie frequentazioni, e tutti aggiungevano qualcosa. Una sorta di Facebook cartaceo 🙂

Per fortuna il cantante in questione piaceva anche al mio primo ragazzino, tale Silvio, perché io ero fin troppo pesante!

In quegli anni ottenni in regalo l’impianto hi-fi: così con le mance riuscii a racimolare i soldi per comprarmi il primo LP (“E tu come stai?”), passando dall’ascoltare musicassette che, per quanto originali, suonavano da schifo, a un ascolto decisamente migliore!

Frammenti di vita

La mia passione per Claudio Baglioni esplode durante il secondo anno di scuola media.

All’epoca, oltre all’arcinoto “Il Monello”, conquistavano una sempre più larga fetta di mercato i giornalini per adolescenti come “Cioè”, dove si trovavano spesso e volentieri i poster dei cantanti/attori in voga.

Grazie a questo, e alle mance, ho tappezzato la mia cameretta di poster, foto, dischi e quant’altro. Ovvio che anche il più piccolo articolo pubblicato lo custodivo gelosamente.

All’epoca si tenevano ancora i veri e propri diari cartacei: di moda andava la Smemoranda, che più era piena e quindi spessa, più era figa e tutti volevano leggertela. E tutti davano il proprio contributo.

“Frammenti di vita” era un programma radiofonico che scopro per caso. Mio padre mi aveva regalato il fantomatico hi-fi, pagato un occhio della testa, quello composto da pezzi come amplificatore, radio, cassette, piatto e poi cd… La radio aveva un’antenna costituita da un filo, che per ascoltare Radio Centro 6 dovevo dispiegare e pregare che prendesse.

Lo speaker era un certo Aldo, che con una pazienza e una dedizione infinita leggeva tutte le lettere che gli arrivavano. Una chat antesignana, quasi. Sabato dopo sabato, quei nomi cominciavano ad essermi familiari, pur non avendoli mai visti dal vero.

All’epoca c’era ancora la Naja, ovvero il servizio di leva militare obbligatorio. Così gli ascoltatori che partivano per il servizio militare e che chiedevano di avere un rapporto epistolare con gli altri appassionati, venivano subissati dalle nostre missive per tenergli compagnia. Una bella famiglia virtuale, che si perse poi di vista perché il programma fu chiuso, non so per quali problemi.

Moltissimi anni dopo, grazie a Facebook, ebbi l’occasione di incontrare il mio amico di lettere e sua moglie. Un tuffo nel passato 🙂

Lockdown si o no?

Come fai, fai e sbagli.

Chiudiamo? Gli imprenditori muoiono, e con loro i rispettivi lavoratori.

Non chiudiamo? Ci infettiamo a ritmo esponenziale.

Io non lo so, non ho ricette. Abbiamo sinceramente abbassato la guardia in estate, sembrava andasse tutto al meglio e poi…siamo vicini all’incubo.

Poi, coi politici che ci ritroviamo, succubi e non proprio liberi….

Magari se ci “sfoltiamo” un po’ male non fa, al pianeta.

Ancora meglio se questo virus facesse la selezione in base al q.i. (e lo scrivo rischiando in prima persona).

Una bambina degli anni 70

I bambini di oggi hanno tutto. Lo vedo coi miei nipoti. Non danno peso a niente, non tengono di conto nulla. E sono disubbidienti. Quasi strafottenti.

Nasco nel 1969 da una famiglia povera. Mio padre lavorava come operaio all’Alfa Romeo di Arese (MI), e mia mamma era casalinga. Vivevamo in una casa in affitto del centro di Arese, che ancor contava poche migliaia di anime. Un paesino destinato a svilupparsi con l’arrivo dei dipendenti dell’Alfa, da poco trasferita lì da Milano.
Fu traumatico per loro, abituati alla grande città di Napoli, ai suoi mezzi pubblici, alla sua vivacità, alla gente, al calore, ai colori, all’odore del mare, al cielo sempre azzurro.
Arese aveva ‘mezzi pubblici’ per modo di dire. Passava un autobus ogni morte di papa, nei feriali. Nei festivi era preferibile non muoversi o comprare un. buon paia di scarpe.

La diffidenza verso i meridionali era sentita. Anche se i ‘nordici’ spesso si nascondevano dietro una maschera di benevolenza, si tradivano con poco: “non sembri del Sud, sei alta e bionda!” convinti del luogo comune bassi-scuri-mori.

Mi bastava uno sguardo di mio padre o un NO secco di mia madre per smettere di fiatare. E si faceva e si mangiava quello che dicevano loro, i genitori. Oggi la situazione è rovesciata. Forse è un po’ (troppo) sfuggita di mano.

Non avevamo molti soldi. Nemmeno per comprare la frutta 365 giorni all’anno. Quando andava davvero cara, ricordo le bottigliette di succo di frutta. E il top delle torte erano i biscotti Oro Saiwa inzuppati di caffè o marsala alternati ad uno strato di crema fatta in casa, dove il sapore più persistente era quello della maledettissima buccia di limone che mia madre insisteva a far cuocere quasi intera.

Uno dei ricordi che conservo era il desiderio delle gomme da masticare Bubble Gum. Erano grosse, rosa e facevano delle palle enormi. Quelle non rientravano nel budget. E ora, che potrei comprarne a migliaia…non mi piacciono più.

Di bambole e orsacchiotti ne avevamo pochissimi. Una finta Barbie, un finto Cicciobello (ché gli originali costavano un rene!), un orsacchiotto di peluche…e non contavamo si regali di Natale perché era tutta roba che serviva: calze, maglioncini. Il cappotto era un lusso che ci passavamo dalla più grande alla più piccola, e quando non ce n’era e occorreva proprio comprarlo, era una festa (oltre che una mazzata per il portafogli), tanto che lo si portava a far vedere ai parenti.

Il vestito ‘buono’ era quello della Comunione, Cresima e Matrimonio (di qualche parente). Anche se, devo dire, che mia madre i primi anni ha cercato di tenermi come una principessina. Solo che poi la mia natura ‘da muratore’ ha preso il sopravvento e lei ci ha rinunciato. Trovavo le bambine assai noiose e delle grandissime rompicoglioni quando criticavano (sempre). Non se la godevano la vita! La guardavano. Mentre io correvo dietro una palla coi bambini delle nuove case dove nel 1978 ci trasferimmo. Ero una schiappa e nessuno mi voleva in squadra, ma un tappabuchi serviva sempre… Ero più brava a giocare a biglie. E ne vincevo sempre! Ma il mio unico, grande Amore era il tennis!!! Oh Dio, quanto mi piaceva!!! Lo guardavo in tv su TeleMonteCarlo, commentato dalla grande Lea Pericoli. Poi scendevo nel borsello dei box e ripetevo i tiri contro un muro senza finestre, dove una pazientissima famiglia reclamava solo quando il padre andava a dormire. Mio padre mi comprò una racchetta finta, di legno e con corde bicolore, credo in plastica. Con quella affrontai il mio primo torneo di tenni ai Giochi della Gioventù. Ci presentammo in 4 ed arrivai seconda. I miei non vennero mai a vedermi, ma mi comprarono una racchetta VERA!!! Era una Maxima, in legno e corde di budello. Per giocare, andavo intorno ai campi da tennis a cercare le palle perse fuori dai campi, nei prati adiacenti. L’anno successivo arrivai prima. Anche stavolta i miei non vennero a vedermi. Mica come oggi, che hanno tutti la claque. Forse vedendomi ‘orfana’, mi giocarono il brutto tiro di non chiamare me per andare a proseguire le gare a Milano, ma alla figlia di papà arrivata seconda. Me lo sento! Così persi la mia grande ed unica occasione. I corsi di tennis erano un privilegio per gente ricca. Mi rendevo conto che non potevo chiedere un tale sacrificio ai miei (e pensare che andavo alle elementari!!!): costava uno stipendio, e noi eravamo poveri.

Papà faceva un secondo lavoro per arrotondare. Ci aveva provato anche mamma: cuciva i bottoni dei camici, finché ci sono state le commesse. Anni dopo, quando noi eravamo abbastanza grandi per stare in casa da sole (io avrò avuto 11-12 anni e mia sorella 5 in meno!) andò a lavorare in una lavanderia industriale che non la mise mai a posto coi documenti. Poi dicono che al Sud c’è il lavoro sommerso! E tanto per aggiungere peso: ma da voi è mai venuto un idraulico/elettricista/falegname e vi ha rilasciato fattura???

Quando mi feci più grandina, intorno ai 15 anni, ci andai anch’io a lavorare quando non andavo a scuola. Mi bruciavo tutti i polpastrelli per mettere sul mangano centinaia di tovaglioli, ritirarli e piegarli. E zitta e muta in caso di rimprovero!

Ma almeno noi abbiamo desiderato e goduto a lungo di quanto conquistato. Ricordo l’hi-fi. Papà si svenò, fece cambiali. Ancor prima, la chitarra. La lucidavo ogni giorno, dopo l’esercitazione. Ma non ero brava, o meglio: non ho mai trovato maestri bravi quanto i primi che trovai all’oratorio. Non la classica chitarra, ma l’arpeggiato, il finger-non-ricordo-che.

Avevamo poco. Veramente poco. Ma sempre più di quanto avevano alla nostra età i nostri genitori. Come i giovani d’oggi. Poi, chissà.

Il coniglio nano e il mocho

Con Bartolo la convivenza è stata difficile fin da subito: gli ho lasciato tutta casa e lui si è scelto i suoi posti dove spallinare e fare pipì: principalmente bagno e corridoio. Poi, via via, ha abbandonato il bagno per spostarsi più verso l’ingresso.
Ho sbagliato: avrei dovuto dargli solo una porzione di casa, tipo il bagno, farlo abituare a fare tutto là e prenderla com e ‘casa sua’, e solo dopo aprirgli tutta casa.

E così, dopo 20 mesi di convivenza, di pavimento laminato rovinato, la base dei mobili rovinata dall’acido della sua pipì, le macchie di pipì asciugata che non ho fatto in tempo a rimuovere, dopo 20 mesi di vita passati, quando ero a casa, col mocho in mano a pulire la sua pipì e le sue palline, che non erano solidissime, dopo 20 mesi di secchi d’acqua cambiati 2-3 volte al giorno, detersivi, ammoniaca, candeggina consumata più dell’acqua da bere, a Bartolo è stata trovata una nuova casa. Anzi, un giardino!

Eh sì, a malincuore l’ho lasciato andare in Puglia, nel Salento, un una casa con bambini ed animali, terreni e giardino all’inglese. Non patirà il freddo, starà con le zampette sull’erba, come dovrebbe stare un coniglio, e non sulle piastrelle o parquet di casa. Scaverà, rosicchierà, piscerà com’è naturale che sia. Non in casa.

Forse tenerlo in casa è stata la sua punizione.
Goditi la tua libertà, Bartolo. L’aria aperta, la terra, l’erba, le radici, le foglie…saltella felice, e ogni tanto pensami, come faccio io ogni giorno. Ciao ciccione! La tua mamma.

Non si cerca più la verità…

…ma solo e soltanto la risposta.

Questo affermava un mio amico, e mi ha dato da pensare.
In effetti, è sotto gli occhi di tutti.
Pensiamo solo alla pandemia che sta colpendo l’intero pianeta.
Si cercano risposte, ma solo quelle che fanno più comodo. Non si cerca la verità.
Anzi, le risposte che ci fanno comodo le spacciamo per verità.
Questo è il punto.

A questo siamo arrivati. Non so perché e non so come.
MA così è.
Ed è perfettamente inutile perdere tempo a confrontarsi, quando ciò che si cerca non è la verità ma la risposta di comodo.

Smart working

Smart working. Lavoro intelligente. Telelavoro. Lavoro agile. Insomma: lavoro da casa da 6 mesi, da quando è iniziata l’emergenza Covid-19.

Comodo mettere la sveglia all’ultimo momento, tanto nessuno ti vede. Non ho mai lavorato in pigiama, ma in tuta sì. E quelle poche volte in cui mi alzavo tardi, mi lavavo tra una mail e l’altra. Un occhio allo specchio e uno al pc.

A pranzo, sempre qualcosa di veloce. E poi subito al pc, spesso senza nemmeno lavare i piatti. E niente pause caffè, né al mattino, né dopo pranzo, né al pomeriggio…nada de nada…

Ogni volta che suonava il telefono d’ufficio, capivo che dall’altra parte c’era sempre qualcuno/a che aveva voglia di parlare, che procrastinava il momento di riagganciare.

Sì, bello non doversi mettere in auto, nelle code, nel trovare un parcheggio; il non dover fare benzina o lavare l’auto. Indubbiamente.

Però, quando si ha una ‘capa’ ansiosa come la mia, diventi ansiosa pure tu.
Non ho mai fatto una pausa pranzo prolungata a sorseggiare un caffè. O vedere un TG.
Avrei potuto fare interi corsi di lingue durante le pause morte, ma la possibilità che mi arrivasse una mail che non vedessi, con la capa che quindi mi richiamerebbe due minuti dopo, non mi faceva concentrare su nulla. Anzi. Ho vissuto questi 6 mesi con l’ansia addosso. Cosa che in ufficio non avevo.

Posso sommare che la produttività in smart working si sia molto alzata di livello, come la mia gastrite. Al contrario delle relazioni sociali, che ho quasi azzerato.

Non fosse per il persistere del virus, mi verrebbe da dire: meno male che lunedì torno in ufficio!

Santorini low cost – pasti

Premesso che, come spiegavo precedentemente, se si è costretti a fare una vacanza low cost, immagino non abbiate in programma un soggiorno a Oia o Imerovigli, oggi affronto il tema ‘pasti’.

Tutte le volte che vado a Santorini, scelgo Kamari come base.
Questo paese è ben fornito di tutto e di ogni.
COLAZIONE
Le panetterie, così come i piccoli supermercati, sono ottimi spunti per prepararsi una colazione, una merenda o un pasto.
Trovate, tanto per fare un esempio ‘fresco’, i donuts (le ciambelle americane, per intenderci) a 1€ o poco più, di cui vado ghiotta, ma non mancano i loro dolci ed anche il reparto salato, sempre a prezzi economici.
PRANZO
Stando a Kamari, ma immagino stessa cosa a Perivolos, Perissa, etc., spesso dividevo un piatto di club sandwich preso in spiaggia, negli stabilimenti balneari che sono sempre di proprietà del ristorantino in strada. I piatti sono abbondanti, per cui li dividevo. E così, non pagavo nemmeno l’ombrellone.
Altro pasto economico può trovarsi in quei negozietti STOP Pita, stop Gyros, stop souvlaki. Con 5€ una pita (o un suvlaki, che è uno spiedino di carne) con una lattina di birra.
Nei ristoranti non è necessario, come da noi, ordinare un pranzo o una cena: spesso ci si può sedere ordinando solo un’insalata, o anche solo da bere. Certo, magari meglio non scegliere i ristoranti super-fighi… 🙂
CENA
Premessa: come già ripetuto, Oia è più cara rispetto a tutta l’isola. Questo non vuol dire che non potete trovare ristoranti che non vi pelino: date un occhio ai prezzi all’entrata e fatevi i vostri calcoli.
Se volete mangiare in maniera più economica (e spesso, anche più rustica, autentica), vi consiglio i ristoranti dei paesini dell’entroterra (ma guardate sempre i prezzi esposti) e non lasciatevi tentare dal primo buttadentro di turno. Si può cenare a prezzi differenti, con servizi differenti: buona scelta! I soliti siti web potrebbero aiutarvi ad orientarvi.

Santorini low cost – spiaggia, lettini e ombrelloni

Le spiagge di Santorini, dalla parte opposta della caldera, sono libere ed attrezzate in quasi ugual misura.
Se pensate di noleggiare ombrellone e lettini, considerate che per lo più ve lo abbuonano se consumate qualcosa presso la loro taverna/ristorante/bar, soprattutto sulla spiaggia di Kamari, gestita dai ristoratori del posto.

La famosa Red beach ha dei prezzi esorbitanti per stare 2 ore, belli ammassati (in epoca pre-Covid). Tanto vale cercare un lembo di spiaggia per il proprio telo mare, farsi un bagno e ciao!
Ah! Il bar lo trovate in fondo alla piaggia, ma forse è meglio che vi portiate dietro qualcosa da bere.

SANTORINI LOW COST – L’HOTEL

Le classiche foto di Santorini, famose in tutto il mondo, ritraggono sempre il paesino di Oia. Che, ovviamente, ha i prezzi più cari di tutta l’isola.
Anche Imerovigli mantiene prezzi piuttosto alti a fronte di un’offerta elitaria, più per coppie.
La ‘capitale’, Thira (o Firà) ha un paniere di scelta molto più abbordabile, ed una movida più netta.
Però, i paesini sopra menzionati sono in alto, sul bordo della caldera sulla quale si affacciano.

Se state cercando sistemazioni più economiche dovrete spaziare a sud,,, verso i paesini che si affacciano sul mare, dalla parte opposta della caldera, come Perivolos o Kamari, la più grandina e vitale.
Offrono dalla pensioncina all’hotel a 4 stelle. Sotto le 4 stelle si fa un po’ fatica a distinguere perché i prezzi sono ingannevoli positivamente e negativamente.
Se usate i portali come Booking per le vostre prenotazioni, cercate il sito dell’hotel perché potreste trovare prezzi più convenienti. Purtroppo, non sempre offrono la prima colazione e quasi mai, sotto i 3 stelle, hanno il ristorante, quindi scordatevi la pensione completa o, peggio, l’all inclusive!
Negli hotel più economici può essere che troviate l’aria condizionata funzionante solo se le finestre sono chiuse. #sapevatelo
Chiedete se sono convenzionati col servizio ombrellone/lettini in spiaggia, mica come me che l’ho scoperto l’ultimo giorno! 😀
#sapevatelo2

Santorini low cost – il transfert e l’autonoleggio

Partiamo col dire che alcuni hotel offrono un servizio di navetta da e per l’aeroporto, generalmente da pagare come extra, a seconda di dove è situato l’hotel. 10 euro Aeroporto-Kamari, per poi scoprire che era la stessa cifra del taxi….

I taxi hanno prezzi più o meno fissi, che potete controllare in quanto affissi alla loro stazione, fuori dall’aeroporto.


Se però avete intenzione di noleggiare un’auto per le vostre vacanze, pensate alla possibilità di prenderla e riportarla a noleggio direttamente all’aeroporto.
Potete farvi un’idea del costo andando sul portale Auto Europe.com o cercando in rete autonoleggi sull’isola.
Alcuni, pur non essendo presenti in aeroporto, vi portano l’auto direttamente là, dove pure ve la lasciano restituire.
Altrimenti, utilizzano il servizio navetta. Le offerte sono tante, non abbiate paura. Considerate, però, che in alta stagione potreste non trovare esattamente il tipo di auto richiesta.
Tutte le sacrosante volte che ho noleggiato un’auto, non l’ho mai trovata a postissimo. Una volta le luci, una volta la frizione, una volta la batteria, l’ho dovuta far cambiare, con tanto di perdita di una giornata, non rimborsata. Quindi consiglio di controllarla subito.

Fate attenzione a cosa copre l’assicurazione che stipulate e ricordate che non coprono mai pneumatici né fondo auto.
Le strade di Santorini sono in buono stato ma non sempre bene illuminate. Alcuni tratti hanno anche bei saliscendi, alcuni anche impegnativi. Non c’è traffico, per fortuna, e generalmente si trova parcheggio quasi ovunque, se si accetta di lasciare l’auto nei grandi parcheggi e fare dei pezzi a piedi.

Avendo avuto un quad che ci è venuto addosso perché non è riuscito a fare una curva, non consiglio questo mezzo, soprattutto se avete intenzione di girare l’isola in lungo e in largo, perché non è proprio così piccola…. meglio una piccola jeep piuttosto.

Perché, comunque, il bello di quest’isola è proprio girarla in lungo e in largo, scoprire i suoi piccoli paesini meno noti di Oia, le spiagge meno note della Red beach, girare per cantine, scavi archeologici, fari, locande…

SANTORINI LOW COST – Consigli cheap: cominciamo dai voli

Innanzitutto, come già sapete, meglio partire col maggior anticipo possibile.
Meglio prenotare prima i voli, scegliendo le soluzioni che più si addicono in termini di budget e periodo, e poi l’hotel.

Dicono che i giorni migliori per prenotare i voli siano quelli a inizio settimana. Sempre secondo le stesse voci, sembrerebbe che gli stessi voli, prenotandoli nei fine settimana, costino di più.
Io vorrei sfatare un po’ questo mito: non ho trovato differenze.
Quello su cui vi vorrei mettere in guardia è che i prezzi aumentano in base agli slot messi a disposizione. Per cui, mi è capitato di vedere un volo in vendita a 50 euro la sera, la mattina dopo a 70 e il pomeriggio a 90€… Non vorrei mettervi fretta, ma nemmeno farvi dormire sugli allori…

Dunque, io per abitudine, comodità, economicità e praticità scelgo sempre Easy Jet. Non compro mai l’assicurazione (per sfiducia, più che per altro, perché non sono convinta che rimborsino e neppure in toto) e nemmeno il posto. Per quanto riguarda il bagaglio, dipende da voi. 50/60€ per portarmi la valigia da imbarcare mi sembrano un po’ troppi euro, però è soggettivo. Dipende da come fate i bagagli e cosa portate dietro. Buttare via 50/60€ per farci stare un telo mare che in spiaggia compro a 10€ anche no. Buttarle per buttarle, faccio girare l’economia greca 🙂

Nota: L’aeroporto di Santorini è molto piccolo, e al rientro in periodi di alta stagione c’è tantissima coda: non vi attardate!!!

Per quanto concerne il transfer, vi rimando al prossimo articolo 😉
Stay tuned

Stavolta salgo sul treno!

Domenica finalmente incontro una mia cara amica. Non ci vedevamo da inizio Febbraio,prima del lockdown. Quando hanno cominciato ad aprire tra comuni della stessa provincia ancora non se la sentiva di vedere nessuno, e quindi non ho potuto fare altro che rispettare le sue volontà ed aspettare.

Aspettare che passassero i suoi weekend per la cas in campagna da vendere; aspettare che vedesse tutte le altre sue amiche e avesse tempo anche per me.

Peccato che, a furia di aspettare… un senso di delusione cresceva.
Cosa dovrei dirle? Prendo atto, punto. Evidentemente, tutte le altre cose e persone erano più importanti. Diceva qualcuno: “questione di priorità”.

Con questi sentimenti mi accingo ad incontrarla per passare insieme una giornata, in una grande piscina alle porte di Milano.
Mi aveva già accennato al fatto che volesse andare in Normandia, con una sua amica. E mi ero stupita che non mi avesse invitata. Se un po’ mi conosce, dovrebbe sapere che Mont Sant Michel è uno dei posti che ‘devo vedere prima di morire’. Boh, forse non ne ho mai parlato con lei? Vabbè. Riprende l’argomento dicendo che la sua amica le ha tirato il pacco ma lei prenota lo stesso.
A questo punto la questione è: mi butto e prendo questo treno che già una volta mi è scappato, o peggio per lei, così impara a non invitarmi?
Opto per la prima: pur non conoscendo nulla, ma proprio nulla, nemmeno il prezzo, decido che non posso farmelo scappare: non è che conosco gente che fa la fila per andarci! Potrei non trovare più nessuno che voglia andarci e quindi…fanculo: oggi l’opportunista la faccio io!!!

Ma c’è un problema che devo risolvere, prima di prenotare: devo sistemare il mio coniglio! I miei non lo vogliono più tenere, sporca troppo. Così contatto subito un’azienda agricola che mi avevano suggerito, prendo appuntamento per l’indomani per vedere la sistemazione, prenoto, gli mollo un acconto e do l’ok per prenotare il mio posto: c’è ancora posto e ricevo pure uno sconto di 40€ perché il mio compleanno cade nelle date in ci siamo via. Meglio in tasca a me che in tasca a loro! 🙂

Così, tutte le tessere del puzzle si incastrano alla perfezione! persino il periodo: l’ultimo giorno di tour coincide con il mio ultimo giorno di ferie: sembra fatto apposta!
Quindi, incrociamo le dita e…prepariamo la lista per la valigia!!! 😀

L’amicizia sospesa

Ok: io i titoli non li so dare.
Fatta questa premessa, volevo solo ribadire il concetto: se non ti cercano è perché hanno altro di meglio da fare. O perché non gli interessi abbastanza.

Se una tua cara amica, che non vedi da metà febbraio, non hai avuto modo di vederla, prima perché lei aveva paura del virus anche quando avevano aperto le porte tra comune e comune della Lombardia, poi perché ne ha sempre una….forse non c’è tutto questo interesse a vedermi.

Siamo a metà luglio – esattamente 5 mesi dopo: se ancora non ci siamo ancora viste, non ci sono scuse che tengano. E’ un dato di fatto. E come tale ho il diritto di prenderlo e di comportarmi e regolarmi di conseguenza.

Forse essere data troppo per scontata mi ha un po’ stufata. E, sinceramente, questa noncuranza mi ferisce un po’.

Purtroppo, la società si sta evolvendo proprio in questa direzione. Ognuno guarda più il suo orticello, ha meno voglia di incontrarsi, tanto c’è il telefono, il messaggino.

Va bene. mi adeguerò. Lo prometto a me stessa.

Quella strana sensazione….

La faccio breve:
non vedo la mia migliore amica dall’inizio di febbraio.
Il lockdown e 17km di distanza non ci hanno permesso inizialmente di vederci.
Poi le frontiere tra comuni della stessa regione si sono aperti ma lei aveva ancora timori a riguardo del Covid-19.
Poi si sono aperte anche le frontiere inter-regionali, ma o aveva ancora timori, o doveva fare altro, o doveva andar via, insomma siamo ai primi di luglio e ancora niente.
E già così ce n’è quanto basta per prendere atto che forse non sono in cima alla lista delle sue priorità. E man mano che i giorni passano, e che vede altre amiche, credo di non essere nemmeno in fondo a quella lista.

Il fatto è che è vero che meno si parla e più i muri si alzano.
Però chiedere conto, in un caso come questo, mi lede l’orgoglio. Metterebbe in una posizione di ‘sudditanza’ me e di ‘piedistallo’ lei, e io non voglio. Non so se mi sono spiegata bene.

Non ne ho più voglia. Sono stanca di correre dietro le persone. Non mi vogliono? Amen.
Io non ho molte amicizie, però non voglio nemmeno starle a pregare, chiedere, né fare sempre il primo passo. Sono stanca. Sono anche stanca di essere data per scontata. Di essere trattata con noncuranza. Rimarrò sola? Con pochi amici? Sì, forse. Ma con più stima di me stessa. Certo, della stima per me stessa non saprò che farmene quando starò su un divano perché non avrò con chi uscire. Forse. Chissà.

Nel frattempo, colgo le occasioni e le sfrutto. Ma per uscire, per fare qualcosa insieme, non per amicizia. Quella è davvero rara, e io mi sono stancata di essere amica e ricevere delusioni. Le amicizie sono davvero poche, pochissime, rare.
Ora voglio fare come le altre. Si esce se mi sta bene, poco o nessun coinvolgimento, sorrisi, risate, e poi ognuno a casa sua. Punto.

LP – long play o 33 giri – e musicassette

L’altro giorno pensavo, chissà perché, a quando, per registrare un album in vinile con una (musi)cassetta bisognava ascoltarselo tutto.
Si metteva l’LP sul piatto del giradischi e la cassetta nell’apposito cassetto del sistema hi-fi (per chi era ‘sofistico’ e aveva anche soldini da spendere, era un modulo componibile: occorreva un amplificatore, a cui attaccare -anche di marche diverse- il piatto del giradischi, e/o il modulo mangiacassette, e/o il lettore CD, e/o la radio, etc.
Per chi non aveva tutte queste pretese (e spazio) c’era la radio con mangiacassette e (in seguito) lettore CD.

Insomma, per registrare un LP su cassetta bisognava ascoltarselo, e magari ‘girare’ pure la cassetta perché su un solo lato non ci stava: le musicassette (abbreviate universalmente in ‘cassette’) per registrazione avevano durata di 60 o 90 minuti.
Per non rischiare di cancellare quanto registrato sopra, io staccavo la linguetta sottostante (salvo poi rimetterci un pezzettino di scotch quando volevo ri-registrarci).
Per me era un supplizio perché sono stata una delle prime a farsi regalare dal papà l’impianto hi-fi, e quindi spesso si presentava a casa mia un compagno delle scuole medie che si è fatto registrare, giorno dopo giorno, tutta la discografia di Umberto Tozzi, Pooh e Boney M, di cui andava matto.

Si poteva registrare anche ciò che passava dalla radio: si aspettava pazientemente che passasse la tua canzone preferita e….zac! Veloce come un fulmine, si schiacciava il tasto a inizio e fine canzone. Con la speranza che il DJ di turno non ci parlasse sopra!

Delle musicassette esisteva un mercato di riproduzioni false che si compravano nei mercati rionali, quasi alla luce del sole. Devo dire la verità: la qualità della cassetta originale era orrenda, quindi perché spendere tanti soldi? Che erano davvero tanti!!! Secondo me, il prezzo dell’originale era troppo spropositato. Facevano bene a copiare: nessuno si poteva permettere di comprarne quante ne voleva!

Poi c’erano le cassette ‘bootleg’: le compravo al mercato di Senigallia (che in realtà era a Milano centro). Erano registrazioni abusive di concerti. A volte ti poteva andar bene, altre male: la qualità non sempre era buona. In questo mercato potevi trovare copie di vinili da collezione, cosa che io non ho mai capito…bastava un graffio, uno scollamento, una virgola fatta con la biro e quello stesso disco perdeva quota. Lo trovo inconcepibile. Tanti appassionati, invece, li comprano e li mettono sotto vuoto, sotto teca, sotto una campana… Io preferisco godermeli.

Il mio primo CD fu quello di Mango, nel 1990. La qualità pulitissima senza il fruscio della puntina sul vinile mi piacque molto e abdicai per questa ultima ‘tecnologia’.
A distanza di 30 anni, però, al risentire quel fruscio…lo rimpiango. Perché fa parte della memoria del cuore.

 

 

Post lock-down. Ciò che rimane

Finito il lock-down, si possono riprendere le attività ordinarie.
Peccato che 4 mesi di smart working ti abbiano fatto perdere la ‘socializzazione lavorativa’. La non frequentazione porta ulteriore non frequentazione, per cui d’un tratto mi giro e…c’è poca gente!

All’inizio avevo mandato messaggi a tutte le colleghe, per sapere come stavano. Peccato che nessuna, poi, abbia fatto altrettanto. Che tristezza.
Nessuna che ti chiami per andare a bere un caffè dopo lavoro.
Alla fine scopri -come se ce ne fosse ulteriormente bisogno- che sei sempre tu quella che si deve sbattere a chiamare, a farsi viva, ad invitare…
Però, se non lo fai….fai vita di clausura. Cosa scegliere?
La via di mezzo: uscire, senza coinvolgimenti. Loro ti usano e tu fai altrettanto.

Ma che gente di merda c’è al mondo?!

ISEE quando la burocrazia ti stritola

I miei genitori devono presentare l’ISEE. É la seconda volta che lo chiedono. La prima fu due anni fa e filó tutto liscio. Ora invece, la presentazione passa all’Agenzia delle Entrate che dal codice fiscale risale a tutti i rapporti bancari e postali presenti in quell’anno.

Nemmeno la Posta ha tutte le informazioni che ha l’Agenzia delle entrate! Ma mi spiego meglio.

Elencate tutte le tue finanze mobiliari e non, l’Inps ti restituisce una “dichiarazione difforme” con tanto di elenco dei rapporti che risultano all’Agenzia delle Entrate. E siccome non si puó presentare una dichiarazione difforme, ti tocca scervellarti per capire COSA ha trovato l’Agenzia Entrate. Sí perché mica ti dice “ho trovato a tuo carico un conto corrente, una carta prepagata, dei buoni fruttiferi postali,…”. No. Ti dice solo: ho trovato due cose aperte con la banca, dieci con la posta. Vai a capire tu cosa sono! L’unico indizio é la data di apertura ed eventualmente quella di chiusura dei rapporti trovati.

Ora, io sto impazzendo perché ho deciso di aiutare i miei. Ma un anziano che é da solo, come fa?????

Maledetti burocrati!!! Un anziano che é da solo a) impazzisce, b) dovrebbe delegare qualcuno ad andare in banca o in posta al suo posto. Voi dareste una simile delega? I cari burocrati la darebbero?

Purtroppo, essendo tutto informatizzato, non puoi parlare, non puoi fare precisazioni o distinguo, non puoi spiegare che quel buono fruttifero che a loro risulta, in posta non lo vedono piú perché scaduto e tu non sai come dichiararlo!

Far fare l’ISEE alle persone anziane é cattiveria pura.

Ma io mi domando: ma se l’Agenzia delle Entrate recupera tutto, tanto vale che la dichiarazione la si chieda bella, fatta e finita a lei direttamente!!!

E se il problema é che (forse) non puó vedere gli importi, é sempre meglio delegare l’Agenzia delle Entrate piuttosto che un vicino.

Tenere la manina

Da pochi mesi è andata via la nostra coordinatrice. E’ rimasta solo la nostra Responsabile come superiore.

Purtroppo per noi, ma soprattutto per me, è una persona insicura (ma arrogante quando deve coprire la sua insicurezza), che delega molto. Anche troppo. Per la serie: “leggimi e spiegami. E poi abbozzami una risposta”, oppure: “ah, non la avete fatta/prevista/pensata quella cosa lì?”. Insomma, ti butta tutto addosso. Peccato che tu sei una semplice impiegata e lei una dirigente. E anche se questo dovrebbe inorgoglirti, io mi sento sfruttata.
E’ come assumere (e pagare) un infermiere e fargli fare il lavoro (fin che può) di un medico. Non lo trovo corretto. Che chiedesse, piuttosto, un altro coordinatore. Magari con una laurea idonea, il che non guasterebbe, e ci farebbe pure comodo.

Purtroppo, nel pubblico, la meritocrazia non esiste. E chi sta alle posizioni dirigenziali non sempre mi sembra un’aquila, anzi. Eppure, se vogliamo dare una svolta, e rendere più efficiente il pubblico, occorre gente preparata. Che venga selezionata appositamente per il ruolo che deve andare a coprire. Che non abbia solo i titoli e/o le tessere.

Dal lato impiegatizio, sto vedendo una svolta, uno svecchiamento: stanno andando in pensione tutte quelle persone che meno avevano dimestichezza con mondo dell’informatica, ed arrivano tanti giovani che ne hanno e che possono fare bene in tempi più stretti. Stiamo tutti cercando di fare del nostro meglio. Ma tanto, tanto, tanto fa la differenza a seconda di chi dirige. Se è mediocre, il servizio non potrà mai essere ottimo.
Se è buono, tenderà ad elevare il rendimento e la qualità del lavoro di tutti.

Abbiamo bisogno di questo svecchiamento. Di questo cambio passo di passo.

Zona rossa – giorno 85

Quando finirá?

Non lo so. Ma quando riprenderemo le nostre vite ‘normali’, qualcosa cambierá. Io sono ancora in smart working. Se devo essere sincera, all’inizio della quarantena ho fatto un giro di messaggi per sapere se colleghe e colleghi stessero bene. Poi, piú nulla.

A parte un paio, o poco piú, non ho ricevuto alcuna telefonata o messaggio. forse questo cambierà qualcosa. A riconsiderare quelle pause caffé, quei favori, quegli ascolti.

Il tempo dicono sia galantuomo.

Zona rossa – giorno 75

Dopo quasi 3 mesi, torno in ospedale. Devo fare un controllo e da questa settimana hanno riaperto gli ambulatori.
Posteggio riservato ai dipendenti, entro, e prima delle scale c’è un ragazzo seduto su una sedia: aspetta che entrino i dipendenti per misurargli la temperatura, per poi dirti ad alta voce quant’è (per la Privacy!). 35.6, può andare.
Salgo allo zero, mi affaccio in quella che definiamo la “main street”: quel che vedo sono solo sanitari e amministrativi. Pochi, pochissimi! Vado a ritirare il foglio dell’appuntamento che mi aveva precedentemente stampato una collega, e mi dirigo verso gli ambulatori, non prima di essere intercettata da almeno 2 operatori che vogliono per forza misurarti la temperatura, farti igienizzare le mani, chiederti dove vai…
Saluto chi riesco a riconoscere dietro le mascherine, abbassando la mia come per paura che non mi riconoscano. 3 mesi di capelli incolti, con la ricrescita lunga, una mascherina…è lecito pensare che non si venga più riconosciute! 🙂
Esame e visita ok: sto migliorando! Bene! Ci rivediamo tra 6 mesi.
Mi incontro alla macchinetta del caffè con un’altra collega. Il caffè fa schifo uguale, non è cambiato. In giro, nessuno. Sembra quasi spettrale, non fosse che questo ospedale è nuovo! Certo, se fossimo stati ancora di là, in quello vecchio ora lasciato andare a ghost hospital…. Pensate che ci sono gruppi di ragazzetti che vanno a filmare il vecchio ospedale, immaginando di essere degli Indiana Jones! A noi fanno ridere, perché pensano che chissà da quant’è in quello stato, quali fantasmi lo abitano, quali storie si celano….e invece, fino a 5 anni fa ci lavoarvamo, lo percorrevamo in lungo in largo, sopra e sotto, nei sotterranei, per fare prima e magari non bagnarci, se pioveva… E questi fanno i ghost busters!!! Ora c’è erbaccia, i ladri di rame hanno spaccato tutto, i vandali hanno pensato al resto. Hanno spaccato anche il marmo dell’altare e bruciato le panche della chiesa. Che peccato. Quando era bel tempo, prima del Covid, facevamo le passeggiate col gruppo aziendale di cammino, dopo lavoro, intorno agli edifici che lo componevano.
Magari più avanti ci faccio un bel post. Glielo devo.
Intanto, torno a lavorare da casa. In smart working.
Ma perché non dire telelavoro, ché io smart working non lo so manco pronunciare??!!!

2018 – Tour Parchi dell’Ovest U.S.A. (post lungo)

Questo è il ‘fast-tour’ che abbiamo fatto nel maggio 2018.
Col senno di poi, aggiungerei almeno un giorno!

CARTINA USA PARCHI OVEST

  1. Milano-Londra-Los Angeles-Indio (dopo Palm Springs)
  2. Indio-Route66-Williams
  3. Williams-Grand Canyon-Page
  4. Page-Horseshoe Bend-Antelope Canyon-Monument Valley
  5. Monument Valley-Arches Park-Green River (dopo Moab)
  6. Green River-Bryce Canyon
  7. Bryce Canyon-Las Vegas
  8. Las Vegas-Los Angeles-Londra-Milano

Partiamo il 20 maggio 2018 con voli British Airways con scali a Londra, destinazione: Los Angeles. Il tutto per la modica cifra di 400€ a testa (sarebbe stato più comodo arrivare a Las Vegas ma mille euro a testa ci hanno fatto rinunciare!).
British ci tiene a farti arrivare in aeroporto almeno 3 ore e mezza prima del volo, quindi ligi al dovere arriviamo alle 4 (di mattina!) per scoprire che il check-in della stessa apre alle…5! Li mortacci loro!
Sempre tramite la British Airways abbiamo prenotato l’auto Avis da ritirare presso l’aeroporto. Dopo aver già pagato 240€ per un’auto che risulta poi essere la Jeep Renegade, in loco ci spennano letteralmente tra navigatore satellitare e garanzie accessorie, contando sul fatto che noi eravamo sfatti da un viaggio non proprio ok (il tizio davanti a me è stato per tutto il viaggio -in economy- col sedile reclinato: mi mancava l’aria!), e che non capivamo una parola (anche se avevo chiesto l’operatore di lingua spagnola)!

GIORNO 1
Vabbè, dai, saliamo su questa bella macchina che non ci aspettavamo e via!!! Alla volta di INDIO! Perché…Indio?? Perché a Los Angeles ci eravamo già stati, e per macinare qualche altro chilometro prima di andare a dormire, abbiamo scelto di uscire dalla megalopoli ed avviarci verso il nostro tour.
A dire il vero, io sono arrivata a L.A. già cotta, avevo proprio bisogno di dormire! Se non fosse stato per Roby, che se la sentiva di guidare, mi sarei fermata a dormire da qualche parte!!!
Per uscire da L.A. l’ideale era Palm Springs, ma costava un po’ di più, e questo è stato un tour dove abbiamo cercato di non spendere tanto laddove si poteva risparmiare. Ma la prima notte, dopo un viaggio così lungo, non poteva essere in uno squallido (e magari, scomodo!) motel di bassa lega! Così per 100$ abbiamo scelto il Quality Inn & Suites Indio I-10. In mezzo al…nulla. Tanto che fatichiamo a trovare qualcosa per cenare e ci accontentiamo di uno squallido, piccolo fast-food messicano (nemmeno economico: per gli amanti delle statistiche, spendiamo 24$ in due), e poi dritti a nanna.

GIORNO 2: LA ROUTE 66!!!
Che emozione! Ne avevamo già fatto un pezzo, più a ovest, da Barstow, e ora continuiamo. Solo che andiamo da ovest verso est, mentre i veri pionieri andavano da est verso ovest. Ma chissene! Arriviamo ad OATMAN dopo aver percorso una strada dolce: da quello che avevo letto, quasi un secolo prima, i pionieri che vi arrivavano se la vedevano brutta! La strada era messa in condizioni peggiori e molti ci lasciavano le penne.
Questa cittadina mineraria è abbastanza ben conservata, anche se molto turistica. E’ famosa per gli asini, che una volta aiutavano in miniera e ora sono un’attrazione in giro per la città. Tutti i negozi vendono per un dollaro un sacchetto di cubetti di fieno pressato da dargli. Il problema poi è che ti trovi circondato, come è successo a me, di asinelli eh… bhè, un po’ mi sono spaventata!
Nell’hotel che è un po’ il centro della cittadina si sposò Clark Gable, l’attore di ‘Via col vento’, e il bar/ristorante, dove abbiamo mangiato un ottimo hambuerger, ha i soffitti totalmente ricoperti di banconote da un dollaro invalidate dalle scritte. Non so da dove arrivi questa usanza, quindi…cercate su Google! 🙂
Tra Kingman (dove non ci fermiamo, essendoci già stato dieci anni fa) e Seligman ci imbattiamo in un lungo campo dove…si formano i tornadi! E’ pazzesco! Non sono pericolosi, sono bassi, però è molto interessante vederli formare e poi sparire.
SELIGMAN è la cittadina per la quale si sono ispirati per i film di animazione CARS. Qua sono posteggiate le vere auto che hanno ispirato Cricchetto, Doctor e compagnia bella. Non solo: ma qui risiede la famosa barberia di Angel Dergadillo, a cui si deve il mantenimento della Route66 e del suo riconoscimento a ‘historic route’. Peccato che era chiuso…
WILLIAMS ci arriviamo ad orario quasi di cena. Facciamo un giro a piedi per la cittadina ma….sono troppo stanca! Andiamo a mangiare in uno dei tanti ‘dinners’ (nemmeno tanto economici: sempre per gli amanti dei numeri, spendiamo 35$ per un classico piatto) che richiamano le atmosfere anni ’50 e poi a nanna, presso il primo di altri Motel 6 dove puoi spendere soli 60$ per una doppia.

GIORNO 3: IL GRAND CANYON
Lo premetto: ci siamo già stati dieci anni prima, ma….è troppo bello!!!!!!!
Questa volta lo troviamo ancor più zeppo di turisti asiatici, maleducatissimi, che arrivavano a spingerti per toglierti di mezzo per fare foto, una cosa incredibile. Gran maleducati. Per evitarli, ce ne andiamo nella parte ovest, spostandoci coi pullmini del parco. Un po’ la calca, un po’ la stanchezza del viaggio, del tour, del jet lag…io non ce la faccio! Non ho più il fisico di una volta! Ricordo la camminata di ritorno verso il Visitor Center come una delle più distruttive (per me! In realtà è una bellissima camminata in piano!). Stufi del gran casino e stanca io, riprendiamo un po’ prima del previsto l’auto e riprendiamo il tour, non prima di aver fatto un’altra sosta ad una bancarella indiana posta fuori dal Grand Canyon. Cerco di chiacchierare con la coppia di indiani, da cui compro dei monili per me ed una parure per un’amica (gli indiani di qui sono bravi a lavorare le pietre turchesi) e scopro che sono venuti a Milano, anni prima, per la Fiera dell’artigianato! Ma pensa!
Riprendiamo il camminoed arriviamo giusti giusti, anzi, anche un po’ in anticipo, per vedere l’HORSE SHOE BEND nell’ora migliore: quella del tramonto! Posteggiamo l’auto, prendiamo un sentiero che sale, seguendo la folla, e incontriamo una coppia italiana composta da mamma e figlia trentenne!  Che carine! Il ferro di cavallo merita tantissimo!!! Faccio un sacco di foto e noto che stanno cominciando i lavori per mettere i turisti in sicurezza. Non ho idea, penso siano delle transenne, non so…
A 5 minuti di auto siamo a PAGE: non so per quale motivo ma ha una concentrazione di chiese incredibile!!! Immaginate un paese le cui case non sono abitazioni ma chiese!
Anche qui alloggiamo in un Motel 6 (92$). Le colazioni di questi Motel le evitiamo come la peste, ma non è che dove proviamo a farla ci vada poi sempre così bene… Mah!!!

GIORNO 4: ANTELOPE CANYON e MONUMENT VALLEY
Stanotte ci è successo di dover andare in bagno e trovare la porta bloccata. Che si fa? Si va alla reception, dove non trovi nessuno se non la donna delle pulizie che ti spiega come sbloccare la porta: con una monetina. Ora ve l’ho detto, quindi…conservatene sempre una!
Ci rechiamo con grande anticipo presso l’agenzia turistica degli Indiani Navajo presso cui abbiamo prenotato e pagato il tour dell’Upper Antelope Canyon, uno dei posti più belli che abbia visto in vita mia!!! Costa un botto ma vale la pena!!! Ma è mooolto presto, così andiamo a fare un giro al LAKE POWELL: alla sua estremità c’è un museo ed una possente diga. Fateci un salto!
Riprendiamo il nostro viaggio verso la Monument Valley dove non arriviamo da quella famosa strada tanto fotografata che pare ci passi in mezzo! Accidenti! Però è spettacolare lo stesso, ci balza il cuore in gola! Sembra di ritornare bambini e vedere arrivare a cavallo, da un momento all’alto, John Wayne.
Lasciamo le valigie al Goulding’s Lodge (ora non ridete: pensavamo fosse questo l’hotel più vicino alla Monument! Per quanto effettivamente sia nel parco, ce n’è un altro ancora più vicino, accidenti! E non abbiamo pagato neanche poco: 230$ solo pernottamento).
Riprendiamo l’auto e facciamo un giro esplorativo, arrivando al check point delle partenze del loop, il giro ad anello piccolo, che puoi fare fai-da-te, o grande solo se accompagnati dagli indiani. Le sbarre sono alzate, alle barriere non c’è nessuno e noi, con grande cautela…ci intrufoliamo! Facciamo un giro ringraziando di avere la jeep perché di sabbia (ovviamente, rossa) ce n’è moltissima, e poi optiamo per andare a fare la spesa e cenare sul balcone della camera, vista Monument, anche perché né il menù né i prezzi ci convincono di mangiare nell’unico ristorante. Stessa cosa per colazione. Con una vista così, poi!!!
Particolarità: qui non possono vendere alcoolici. Agli indiani è vietato.

GIORNO 5: Monument Valley e Arches Park
Di buon mattino, andiamo a fare il giro in auto del loop della Monumet Vallet: questa volta alle barriere c’erano gli indiani e questa volta abbiamo pagato (volentieri! E ne vale la pena!!!). Torniamo per rifare le valigie e lasciare la camera, riprendiamo il tour. Ma….indovinate cosa dimentico? Il cellulare!!! Per fortuna, non eravamo tanto lontani! Così aspettiamo alla reception che arrivi la cameriera addetta alla camere e mi restituiscono il cellulare…imbustato. Che efficienza!
DIrezione: ARCHES PARK! Io ve lo dico: è il parco che mi è piaciuto di meno!!!
Non ve l’ho detto prima ma comprando una carta dei Parchi degli USA (80$ nuova, a meno che non fate i furbi e la comprate di seconda mano, facendo attenzione alla scadenza) si può entrare in parchi come questo. L’entrata è per auto, quindi potete essere in 2 o in 6, fa lo stesso. Delicate Arch è troppo distante per me, e nemmeno Roby se la sente di andare. Riprendiamo l’auto e ci dirigiamo verso GREEN RIVER, dove abbiamo prenotato un altro Motel 6, quando dal nulla sbuca dietro di noi un’auto della polizia con lampeggianti e sirena accesa!!! Allora è vero!!! Fanno davvero così!!!
Dico a Roby di non scendere dall’auto e di tenere le mani sul volante. Abbasso il finestrino ed arriva il più dolce poliziotto che abbia mai incontrato! Tenerissimo! Gli chiedo subito se parla spagnolo (molti da queste parti sono bilingue). Mi dice di sì ma poi non ci riesce più di tanto. Chiediamo cosa abbiamo fatto: eccesso di velocità. Ed era mooolto dispiaciuto nel dircelo! Roby abbassa solo gli occhi, fa parlare me. Io mi rattristo, e nonso cosa dire…Chiede la patente, che Roby ha nella valigia nel baule; acconsente a farci scendere, Roby prende la sua valigia tricolore, la mette per terra, in strada, prende la patente, mentre io prendo i documenti dell’auto. Gli diamo il tutto, fa altre domande sul nostro percorso, ci vede contriti e…ci lascia andare!!! Senza multa! Lo vorremmo abbracciare! Vorrei almeno fare una foto, ma magari non si può, o magari…meglio andarsene prima che cambi idea!
Riprendiamo la strada. Dopo decine e decine e decine di chilometri sempre uguali (in pratica, il tratto più noioso di entrambi i tour fatti qui), nel nulla, arriviamo a Green River. Altro Motel 6. Cerchiamo subito un posto dove cenare perché è meglio essere previdenti: magari chiudono presto e tu rimani a bocca asciutta!
Rob intercetta una sorta di capannone con un’insegna: Ray’s Tavern – Family restaurant.
La cameriera che ci serve (un hamburger ed una apple pie da favola!) ci accoglie con un sorriso a 32 denti e due bicchieri di acqua con ghiaccio.
L’indomani mattina, il Motel 6 mi addebito 113$ anziché i 55$ pattuiti con Booking. Pago lo stesso perché a farmi capire è dura, ma poi sporgo reclamo con Booking una volta rincasata ed ottengo il rimborso.

GIORNO 6: BRYCE CANYON
Oggi si parte coi giacchini già fuori, che si sale! Questa sera ci trattiamo bene: dormiamo nel Best West Plus Ruby’s Inn (164$) e ceniamo nel loro (caro) ristorante. La cena non mi ha fatta impazzire, ma era al buffet e potevi scegliere liberamente cosa prendere.
Non era programmato alcun spettacolo, nemmeno il rodeo, quindi abbiamo vagabondato per il villaggetto per turisti, cena e nanna.
Ma quanto è bello il Bryce Canyon???? Abbiamo fatto l’intero loop, scendendo e risalendo. E’ bellissimo!!! Non me l’aspettavo!!! Dovete vederlo!!!

GIORNO 7: LAS VEGAS
Torniamo volentieri a L.V. CI eravamo già stati, e ci torniamo allegramente. Anche qui ci siamo scelti un bell’hotel, dato che è l’ultima notte: The Carriage House (200$). Arriviamo di giorno, quando tutto tace e tutti dormono. Ce ne andiamo per shopping in un centro commerciale all’aperto, dove acquisto una borsa scamosciata e un paio di scarpe sportive, perché quelle che avevo indosso cominciavano a farmi male. 20$ un paio di New Balance. Incredibile! Poi facciamo un giro per la Strip, dove camminiamo tanto che…le pance brontolano. E quindi, manco a farlo apposta, entriamo in un locale per cenare. Ci fanno accomodare, è molto grande, tanto che i camerieri hanno i pattini. Ma….poi affiorano i ricordi: qui ci siamo già stati!!!! Pazzesco!!!
Dopo cena, camminiamo ancora. Io non ce la faccio più, mentre Roby vorrebbe arrivare alla ruota panoramica. Ad un certo punto, le gambe non mi vanno più: sono sfinita. Letteralmente. Dico a Roby di andare dove vuole, io torno in hotel in taxi.
Fortunatamente, viene dietro con me. Avevamo da confermare e stampare i biglietti aerei, e ci abbiamo messo un po’, tanto che andiamo a letto davvero tardi.

GIORNO 8: RIENTRO
Con grande stupore, scopriamo che il nostro hotel non solo non ha un ristorante (ma non sarebbe una novità),ma non serve nemmeno le colazioni!! Ci consigliano un piccolo centro commerciale lì vicino. Ci andiamo: a il soffitto dipinto con nuvole dove con un gioco di luci riproducono orari diversi e addirittura i temporali!
Mangiamo finalmente i pancake e, mestamente, andiamo a prendere le valigie e l’auto. SI riprende la strada verso Los Angeles!
A metà percorso, passato a discutere la proposta di Roby di andare al mare a L.A. o direttamente all’aeroporto, incrociamo i cartelli pubblicitari di una ghost town che finiamo per visitare. Così niente mare: si prosegue dritti per rendere l’auto e prendere l’aereo!

Che dire? Ho dimenticato tante cose, certo, ma come si fa a scrivere tutto?
I tour che ho fatto negli Stati Uniti sono tra quelli che mi porto nel cuore, per il senso di libertà che ti danno le loro strade. Per il senso di fiducia che si respira (non come nelle grandi città). Tornerei immediatamente. Aggiusterei il tiro, ma ci tornerei su due piedi!

 

 

Zona rossa – giorno 73

IL TEMPO DI UN CAFFE’

Oggi è il compleanno di una persona che consideravo amica.
Poi ha trovato l’Amore e…
E la nostra amicizia si era ridotta a veloci caffè alle macchinette di lavoro.
Non mi ha mai dato spiegazioni alle mie domande. Solo alzate di spalle.
Persino l’invito al suo matrimonio me l’ha dato davanti alla macchinetta del caffè. Quando il suo lui l’avrò visto si e no 3 volte a dir tanto. Vi sembra normale?!
Noi uscivamo tutti i sabati/domeniche, andavamo in piscina ogni sacrosanta domenica, al chiuso o all’aperto. Poi….puff!!!!!
Mi ha invitata una sola volta a cena a casa sua: ma solo perché dovevo aiutarla a comprare dei biglietti aerei. Che poi, il suo lui decise che ci avrebbe pensato lui, per cui potevo anche evitarmi quella serata…

E niente: nessuna uscita, nessuna cena, tagliata fuori completamente dalla sua vita. Nessuna spiegazione. Solo un “eh…” come per dire ‘cosa vuoi che ti dica?’.
Forse perché sono single? Non lo so e non lo saprò mai. Ho smesso di chiedere spiegazioni. Diventerebbe umiliante.
Le volevo bene, e per questo non ho saputo sottrarmi ai caffè quotidiani.
Poi è arrivato il Covid-19. E ci ha pensato lui a dare un taglio.
Non le messaggio né telefono. Ha voluto circoscrivere lei la nostra “amicizia” alla macchinetta del caffè? E allora ci vedremo là.

Oggi è il suo compleanno. Ad essere sincera, non avevo voglia di chiamarla, le ho mandato solo un messaggio di auguri, niente di che.
E sapete una cosa? Non mi fa più male. Non mi fa più male pensare di aver perso un’amica, perché tale non era. L’Amicizia è un’altra cosa. Lo capirà.

Ah! Al suo matrimonio non sono andata. Sono partita per la Giordania: un viaggio che ho sempre sognato!

Zona rossa – giorno 71

Questa notte si sono aperte le cateratte del cielo.E’ venuta giù tanta di quella pioggia, e sentivo tanto di quel rumore, che ho faticato ad addormentarmi, anzi: vagavo per casa al fine di controllare che non vi fossero allagamenti.

Mi è già successo un misterioso allagamento, tanti anni fa: l’acqua sembrava sgorgare da sotto il letto. Sono venuti l’amministratore col portinaio e mio padre: per tutti loro l’acqua deve essere entrata dalla parete esterna. Sarà: appena mi accorsi dell’acqua, spostai il letto dalla parte opposta della parete esterna, asciugai e…tornò l’acqua.

Ad ogni buon conto, non successe più. Presi dei pannelli e li misi sul balcone della camera da letto. E tutto andò bene finché….altra acqua entro, questa volta dalla porta finestra. Mio padre rifece tutti i lavori necessari intorno alla soglia di marmetto e da allora niente acqua.
Ma stanotte ne veniva coi secchi, avevo timore entrasse di nuovo, da qualsiasi parte e…non ho chiuso occhio!!!
Con sta cavolo di emergenza per il Coronavirus, non possiamo nemmeno andare a fare compere tranquillamente: al Leroy Merlin ti chiedono da dove arrivi, ti chiedono cosa devi comprare (e se non è una cosa necessaria, non ti fanno entrare) e ti misurano la temperatura. Che ansia!!!

Zona rossa – giorno 70

A cavallo tra febbraio e marzo, quando era nell’aria che -prima o poi- avrebbero chiuso  anche noi, dopo Whuan e Codogno e altri paesi del lodigiano, ho cominciato fin da subito ad organizzarmi mentalmente, preparandomi al lockdown (fa più figo se lo scrivo in inglese?)

Così, mi ero organizzata per fare un po’ di attività fisica in casa: salto della corda a piedi nudi. Ero arrivata a fare un centiniaio di saltelli tutti i giorni (per voi saranno niente, ma io morivo già al cinquantesimo!!!). Morale: mi si è infiammato il tendine di achille!!
Che sventura!!! Così, anche senza muoverlo, mi fa male. Proprio ora che avevano aperto i parchi e potevo andare a passeggiare!!!

La sfiga ci vede proprio bene….mentre io ingrasso…..che malasorte….

Zona rossa – giorno 66

Oggi mi sono saltati i nervi. Ho preso Bartolo e l’ho chiuso in bagno, in punizione. Punizione che non capirá, essendo un coniglio, ma io oggi non ce la faccio proprio piú. Sono 16 mesi che l’ho adottato. Ha 6 anni e mezzo, tecnicamente é un coniglio anziano. Non ha mai imparato a fare i suoi bisogni nella lettiera. Magari ci va una, due volte, massimo tre. Preferisce farla lungo il corridoio. Cosí mi sta rovinando tutta la base della libreria Ikea, che si sta sgretolando. Ora ho messo lungo lungo un a serie di pannelli di plexiglass. Ma la pipí passa sotto, e la pendenza la spinge proprio verso la libreria.

In questi ultimissimi giorni, ha scalato un paio di metri, preferendo pisciare sotto la consolle dell’entrata. Non so piú quante pipi fa al giorno, mi sembra di stare sempre col mocho in mano! Anche perché mi macchia il laminato che ho per terra.

All’ennesima, non c’ho visto piú e l’ho chiuso in bagno. Lo confesso: ci sto male, e so già che cederó presto e lo libereró. Non é colpa sua, lui é un animale. Sono io che non ho considerato che poteva non essere bravo come Strufolo.

Se volete un coniglio di razza mista ariete/testa di leone….

Poste Italiane

Premetto che ci andrò coi piedi di piombo, perché quando hai a che fare coi colossi, hai sempre rogne.

Mio padre mette i risparmi di una vita soprattutto in Buoni Fruttiferi. Da sempre.
Una volta, la scelta era su un paio di tipologie, oggi qualcuna inpiù, con scadenze diversificate.
Ebbene, una ventina scarsa di anni fa mio padre sottoscrive Buoni Fruttiferi per 30.000€.
Trentamila euro di buoni fruttiferi postali, con una scadenza insolita di 7 anni.
Ma questa non è scritta sul buono. E’ scritta nel foglio che ti allegano. Insieme alla durata.
Così, non vedendo scritto sui buoni né la durata, né la scadenza, dà per scontato che siano come i precedenti acquistati, che valevano 20 anni.

Morale: scadevano nel Dicembre 2009. Se dopo 10 anni non si riscuotono, cadono in prescrizione, ovvero non riscuoti più nulla.

Mio padre, a febbraio 2020, ignaro, va a riscuoterli: l’impiegata diventa paonazza, non sa come dirglielo: quei buoni sono caduti in prescrizione, ergo sono…carta straccia!!!

Ora, si può dire tutto ciò che si vuole.
Per me, le Poste italiane sono sinonimo di risparmio da quando ero piccola.
Regalare un buono fruttifero a cresime e comunioni era all’ordine del giorno. Perché le Poste erano dello Stato. E lo Stato è come un buon padre di famiglia.
Così mi diceva mio padre.

E invece, le Poste, in maniera molto subdola (non scrivendo né scadenza né la durata), facilitano questi giochetti di sbadataggine, soprattutto in persone anziane.
Così, il pensionato che ha sempre pagato le tasse e prende una pensione da fare schifo, ci rimette pure.
Non possiamo permetterci di perdere altri soldi assoldando un avvocato che, c’è da scommetterci, nulla potrebbe contro questi colossi.
Però lasciatemi dire, anzi, urlare una cosa: che amarezza!!!

Zona rossa – giorno 65

BICICLETTA KO

Breve storia triste: lo spazio del locale condominiale destinato alle bici non è sufficiente. Le bici sono accatastate le une alle altre. Oltretutto, il locale ha delle tettoie perimetrali ma aperte al centro, quindi le bici sono esposte alle intemperie.

Morale: ho trovato la mia bici coi fanalini, raggi e catarinfrangenti rotti; sporca da fare schifo, tutta arrugginita e bucata.

Inutile comprarne un’altra: farebbe la stessa fine…

Zona rossa – giorno 64

DONATORI DI VOCE

Ho letto su Facebook che un’associazione ciechi cercava volontari che leggessero libri. Nella fattispecie, brevi racconti, per una registrazione di massimo 10 minuti.
Io non ho mai letto, né frequentato compagnie teatrali, né fatto corsi di dizione. Registro solo i messaggi per i vari ambulatori ospedalieri, etc., ma sai quelle voci del cavolo, senza pretese? Ecco!

Però, penso al momento di emergenza, a quanto debbano annoiarsi un po’ tutti in questo periodo di reclusione, e quindi…va bene, registro qualcosa. Ma cosa? E soprattutto: cosa che possa durare massimo 10 minuti??
Mi viene in mente un racconto che scrissi per un concorso letterario di 6 anni fa. Arrivai terza. Ad onor del vero, il primo classificato, per me, era pure fuori tema, mentre il mio racconto era stato valutato fin troppo.
Lo registro d’un fiato, divertendomi pure. Poi lo invio.

Poche ore dopo, dal gruppo del corso di spagnolo, arriva a ciascuno il compito di leggere e registrare una pagina di un libro. Deve essere la giornata! Pur essendo in lingua straniera, me la cavo bene al primo colpo!
Non fosse che la mia voce non è bella, non è niente di speciale, e che dovrei fare uno di quei costosi corsi di dizione, potrei….cambiare mestiere! 🙂

Zona rossa – giorno 63

Non so se è colpa del tele-lavoro, ma il rapporto tra me e il dirigente mi sembra si faccia sempre più teso. Colpa sua: mi chiede pareri, glieli dò,e siccome non le piacciono, mi si rifà contro. Io lascio perdere, non si ha niente da guadagnare mettendosi contro. E poi, non si dice che la ragione è dei pazzi? Ebbene…  🙂
Ieri sono uscita: sono andata per la prima volta al parco, dopo più di due mesi: un sacco di uomini anziani senza mascherina. Ho comprato al volo in farmacia una ffp2, che dovrebbe proteggermi meglio di quella chirurgica. Speriamo bene!

 

Zona rossa – giorno 61

Sono in Smart working e mi sembra di lavorare mooolto di piú che non in ufficio. Niente pause caffè, niente telefonate private, pause pipí piú veloci (non c’è fila, non sono occupati, età.).

Lavori da casa? Meglio, risparmi! Ti dicono cosí. Invece…spendo molto di piú perché devo prepararmi anche il pranzo, perché nel mio comune non c’è un grande supermercato e i piccoli supermercati che ci sono hanno tutti, tutti, tutti aumentati i prezzi!

Ma fino a qui, ringrazio ogni giorno della possibilità avuta. Di contro, la mia capa ha scoperto di avere il mio contatto whatsapp. E cosí, tre ore dopo aver timbrato mi vedo recapitare del lavoro con precedenza assoluta. Sabato, per me festivo, mi arrivano altri messaggi. Come farle capire, senza offendere la sua suscettibilità, che il MIO smartphone non é uno strumento aziendale, ancor piú fuori orario di servizio, e che non voglio trovarmi nella condizione di dover monitorare anche questo oltre le quattro caselle di posta aziendale?!

Zona rossa – giorno 50

Se c’é una cosa che devo riconoscere a questa pandemia, é l’avermi regalato molto tempo per leggere.

Ho letto quel tomo di Furore di Steinbeck, e quel gran tomo de Il Conte di Montecristo di Dumas. E sto cominciando a leggere quei libri che per anni sono rimasti indietro, comprati o regalati.

Perché c’è un tempo per tutto, e non sempre siamo nella predisposizione di animo giusta per leggere qualsiasi cosa.

Se aveste voglia di suggerirmi dei libri di leggere, mi farebbe davvero piacere!

Zona rossa – giorno 55

Se penso che solo due mesi fa, sentendo parlare di Whuan, in CIna, di come stavano affrontando questo virus, di come stava reagendo la gente normale che cercava un po’ di normalità comunicando dai balconi…e noi, qui, ancora tranquilli, sorridevamo….

Poi, in men che non si dica, è arrivato qui. E noi increduli, trasognati, impreparati. Quelli più sgamati, ad accaparrare cibo ed altro nei supermercati.
Se me lo avessero detto, due mesi fa……..
Mi sembra di vivere in un film di fantascienza!!!
E invece è vero!!!!

Ieri mi ha chiamata una mia amica. Fantasticava di quando le cose rientreranno a posto o quasi. Anelava a vedere ad una ad una ogni sua amica.
Io non ho saputo partecipare al suo sogno. Ho momenti down che prendono anche me.
Io non riesco a vedere una vita normale finché non troveranno questo benedetto vaccino!!!
Io ho PAURA di riprendere una vita pseudo-normale, che di normale non ha proprio niente! Perché non è normale andare in giro con una mascherina, che non sai nemmeno se ti proteggerà davvero, tante sono le volte che l’hai riutilizzata!
Perché non è normale avere un Governo che non ci tuteli, sennò ste cavolo di mascherine le avremmo, e fatte come si deve, non con la carta igienica!
Perchè non è normale indossare guanti, non toccarsi il viso, guardare il mondo attraverso gli occhi di un agente NCIS ed usare quindi tutte le precauzioni necessarie.
Io non sono abituata ad entrare in casa, nn fare nemmeno il secondo passo e togliermi le scarpe! E nemmeno di correre in bagno a lavarmi le mani come secondo compito.
Non è normale tenersi a distanza, non è normale non vedere i tuoi cari, non è normale non poter uscire di casa se non per andare in farmacia o a fare la spesa quando è il tuo turno!
E quando potremo uscire, non c’è nulla di normale ad uscire infagottati, ricordarsi di stare a distanza, di non toccarsi, di starnutire nel gomito, etc.
Che vita ci attenderà fino a che non scoprono il vaccino???
Una vista sospesa.

Zona rossa – giorno 50

Pigiama – tuta – pigiama. h24.
C’è chi si sta arrangiando da sola a farsi la tinta, ma come la mettiamo coi tagli???
E poi ci sono io, che oltre ad aver bisogno di una bella spuntata…sono allergica alle tinte!!! Per nascondere gli incipienti capelli bianchi stavo facendomi fare i colpi di sole, ma ora?

Devo essere sincera: dopo due mesi di isolamento scarsi, non è che il mio morale sia alle stelle. Non ho voglia di truccarmi (per chi poi?), cara grazia che mi pettino ancora!
Mettici pure i kili messi per inattività, e facciamola finita!

E in tutta questa depressione da pandemia, ci sono quelli che…ti vogliono assolutamente contattare con una videochiamata per un aperitivo, o per una cena! Ma fatevi i cavoli vostri! Mi sento già un mostro così, figuriamoci se ho voglia di farmi vedere in queste condizioni!!! Come se qualcuno, nella vita pre-Covid, vi venisse a salutare buttandovi giù dal letto! Sfatti e impigiamati.

Zona rossa – giorno 40

Mi si fulminano due lampadine ed esco a comprarle, anche se oggi non é il mio giorno di spesa. Cosí esco, alquanto guardinga. Arrivo dal ferramenta (ma che c’azzecca il ferro con la menta? 🤪) col campione di lampadina in mano eh….”bhé, se la vuole proprio così, tubolare, abbiamo solo questa, é della Philips e costa…21 euro”.

VENTUN EURO.????? E di che é fatta sta lampadina? É perenne?

No, grazie, 21×2= 42€ piuttosto cambio la plafoniera!

Alla fine ho preso due lampadine dalla forma classica per sei euro. Se ci stanno bene, sennó mi arrangeró. Ma quarantadue euro per una plafoniera (normalissima) che sta in corridoio….é un FURTO!

Zona rossa – buona Pasqua!

Mi alzo come tutte le altre mattine alle 7:30. Colazione, rassetto e mi metto subito a fare, per la prima volta in vita mia, il ragú alla Genovese. Genovese il cuoco che la inventó. Fuori fa fresco, meglio evitare di prendere una bronchite. Mangeró in cucina. Svogliatamente. Consumo le mille telefonate di auguri col solo intermezzo di un pranzo veloce. Che tristezza. Ma quando finirà? Quando potremo uscire? Comincia a fare caldo e ho solo tute pesanti. Non mi trovo a comprare abbigliamento on Line, io le cose le devo provare.

Non vedo l’ora di uscire…anche con la mascherina!

Zona rossa – giorno 35

Oggi ho saputo di una vittima del Covid-19 da me conosciuta nel lontano 1989.
Era il nipote del proprietario della SRL per la quale lavorai ben dieci anni, Dio sa come. Un lager. Non più di 4 minuti per andare in bagno, non si poteva parlare tra noi, non si poteva ricevere né fare telefonate personali, non si poteva sgarrare nemmeno di un minuto la timbratura del cartellino, non si potevano fare straordinari (ma chi voleva???), si era obbligati ad indossare un camice rigorosamente chiuso anche d’estate, col caldo torrido (i condizionatori all’epoca non erano così diffusi), seppur facevamo le impiegate commerciali.
Col tempo guadagnai la sua stima, e questo evitava che venissi presa a male o sarcastiche parole da questo ‘signore’.
E ora dovrei compiangerlo?
No, non mi viene nessun moto di pietà.
Non è che se sei stato un pezzo di merda, morendo migliori.

Zona rossa – giorno 30

La diversità dai primi giorni. Ora si rientra in una routine consolidata:

sveglia alle 7:30, bagno, colazione, riordino casa.
Alle 8,30 pronta e timbrata per una nuova giornata in smart working.
Se c’è poco o niente da fare,mi concedo il lusso di approfittare delle 2 ore che il sole bacia una parte del mio balcone per farmi baciare anch’io, col telefono in tasca e un occhio al portatile ad un passo da me.Ora fa già così caldo che al sole puoi stari in maglietta! Peccato che io oggi abbia molto da fare, quindi…nisba.
Ieri ho cucinato i pancake in videochat con un’amica di Anversa. Oggi li sto ancora mangiando! Ne sono venuti troppi… Dobbiamo pensare alla prossima ricetta…
Stasera alle 19 ho una videolezione di Feldenkreis, non vedo l’ora!!! Da quando lo pratico, la mia schiena ne ha trovato enorme beneficio!
Domani, videoaperitivo con un’altra mia amica, mentre Pasqua….da sola. Se è bel tempo, apparecchio fuori al balcone. Non sono brava in cucina, mi farò le tagliatelle al ragù.

la curva dei contagi sta cominciano lentamente a calare, così come i deceduti. Nell’aria si sente già la liberazione vicina. Quest’anno il 25 aprile avrà ben altri connotati!
L’azienda ci ha chiesto di offrirci volontari, in orario di lavoro e fuori, per andare a misurare la temperatura corporea nei vari check point ospedalieri. Sinceramente, se da un lato mi piacerebbe fare la mia parte, dall’altro -conoscendo i miei polli- non credo siamo protetti abbastanza, e poi non so come la prenderebbe la mia capa, che già non mi vede di buon occhio per aver chiesto (anch’io) lo smart working, figurati se mi presto a lavorare altrove…

Nel mentre, sto studiando anche inglese, con le videolezioni di una volontaria del mio comune che si da tanto, tanto da fare! E’ italo-americana e spiega bene. Fa così tanto che non riesco a starle dietro.
Che dire? Quando finirà tutto questo, mi mancheranno le videochat, le videolezioni, i giornali gratuiti messi a disposizione legalmente,i video di ginnastica, tutto questo mettersi al servizio del prossimo…

Zona rossa – giorno 20

I giorni sembrano tutti uguali. Come i pigiami e le tute che alterni.

Non ci si affaccia più ai balconi, niente canzoni, rimangono solo (pochi) tricolori appesi, alcuni ancora al contrario!

Andrá tutto bene, recitavano i cartelli da iniziò pandemia. Ora non ne vedi piú. Il morale cala, gli sguardi si intristiscono. Si cominciano ad avere conoscenti colpiti dal virus. Il male avanza, non ci é piú estraneo.

Quello che dovrebbe essere estranea é la politica, che invece é onnipresente, per mettersi in mostra, per acchiappare consensi…

Felpa piú non è tra i miei favoriti. Potrebbe dire cose giuste, ma dette da lui non riesco nemmeno ad ascoltarlo. Giro canale.

Il presidente del consiglio, sempre apprezzato, sembra un uomo solo. Che Dio gliela mandi buona! Deve traghettarci fuori. Come il Professore ne La casa di carta.

Zona rossa – giorno…ho perso il conto!

Mi accorgo, man mano che passano i giorni, di essere più insofferente. No, non per la clausura, gli arresti domiciliari, nemmeno per la spesa razionalizzata per cognome (a me spetta andarci il martedì pomeriggio e il venerdì mattina).
No: per il lavoro.
Sto lavorando a casa (lo chiamano smart working) da 5 settimane. Ho l’ansia da prestazione! Controllo ossessivamente l’arrivo di nuove mail quasi dovessi scusarmi di lavorare da casa, mentre altre mie colleghe che devono giocoforza presenziare, stanno a ‘combattare’ in ospedale, uno dei luoghi più pericolosi per questa pandemia!
Non ce la faccio più! Mi  irrito leggendo ogni giorno: “leggi e mi spieghi?”, “mi riassumi?”, “mi verifichi?”, “mi abbozzi una risposta?”, “mi..” “mi…” “mi…”!
Minchia! Ma forse avrà un abbassamento della vista???!!!

Per carità, intendiamoci: oggi avere un lavoro, fisso, è una fortuna, e io ringrazio il Padreterno ogni santo giorno. Ma in una situazione di costrizione fisica, aggiungere una costrizione psichica è poco digeribile.
E mentre mi chiedo il senso del lavoro, della distribuzione dei compiti, dell’utilità di alcune figure, cerco di digerire il tutto e di pensare positivo: magari mi passa la fame!!!

Zona rossa – giorno 14

Per fortuna, lavoro. Almeno mi passa la giornata! I sabati e le domeniche sono interminabili!!! O ti trovi qualcosa da fare p muori di noia!
Chissà come sarebbe stata questa emergenza se non avessimo mai avuto problemi di reperimento delle mascherine!
Certo è che abbiamo compreso di essere un popolo coglione, non abituato a seguire le regole, ma ad aggirarle. Ci sono voluti gli inasprimenti di pena per convincere un’altra buona fetta di gente a non andare a spasso, a non andare a correre (erano diventati improvvisamente tutti podisti), a non uscire per delle bazzeccole.
Siamo una massa di ignoranti: ci meritiamo di estinguerci.

Se ne usciremo, occorrerà riflettere sugli errori commessi sul lato politico, ma anche  mandare a scuola taaaaaanta gente!!!!

Zona rossa – giorno 13

Che brutto avere a che fare con gente frustrata ed incapace! Gente che sta gerarchicamente sopra di te, e invece chiede a te il da farsi.
Io sono e faccio la semplice impiegata. Con tanto di misera paga. Statale. Volete sapere a quanto ammonta, dopo 30 anni di servizio? 1300 euro mensili. Milletrecento. E trent’anni di anzianità. Che a niente servono: da quando, una decina e passa di anni fa, col Governo Berlusconi, l’allora ministro Brunetta (quello bassissimo, ve lo ricordate?) impedì ai non laureati di fare carriera nella pubblica amministrazione. Da allora, per scalare le vette, ci vuole la laurea. E magari, anche delle buone amicizie. E se vuoi entrare nell’olimpo delle vette, anche una tesserina tipo ‘fidaty’ non sarebbe male, anzi!

E così, con uno stipendio che mi vergogno a dirlo, anche se sono loro che dovrebbero vergognarsi a darlo, io vorrei fare solo e soltanto il mio lavoro. E’ chiedere troppo? No, perché se chiedi troppo, è sfruttamento. Perché se pretendi da un infermiere che faccia il lavoro di un medico con la paga da infermiere non è corretto. E’approfittarsi della posizione di comando.

Sapete, avrei potuto fare i turni di reperibilità, all’epoca, quando mi è stato chiesto. Ma credo sia onesto misurarsi. Non ero adatta. E ho rifiutato.
Penso che le persone dovrebbero ripartire con più gesti di umiltà e onestà.
Se quel lavoro non non lo sai fare, ma ti compete, cambia lavoro.
Se l’idraulico sa già che non può fare 80 lavori in una giornata, non deve dire di sì a tutti per ‘legarsi’ i clienti.
Se prendi un ordine e sai benissimo che non c’è disponibilità, dovresti avvertire prima.

L’Italia dei furbetti deve finire. Anche cominciando da queste piccole cose.

Zona rossa – giorno 12

Smart working. O ‘lavoro agile’, che dir si voglia.
Da un giorno con l’altro, ho approfittato di questa opportunità e mi sono trovata a dovermi organizzare un ufficio a casa, coi miei soli mezzi. E con la capa che era visibilmente contrariata dalla mia richiesta. Il perché, non lo so, tanto che poi lo sta facendo pure lei….
Lo smart working fa lavorare di più (quando hai lavoro). C’è l’ansia da prestazione, il senso di colpa perché stando a casa quando si potrebbe pensare che non fai niente…
In più, ho una capa che appena schiaccia il bottone ‘invio’ per inviarti una mail, il  minuto dopo ti chiama per chiederti se l’hai letta… Ansia!!!
Così, senza nemmeno una pausa caffè programmata per staccare, senza avere nessuna collega d’ufficio con cui fare due chiacchiere, sei più concentrata sul lavoro.
Talmente tanto, che io a fine serata sono stanca. E mi addormento all’inizio dei programmi di prima serata!
Ma almeno, ti passa il tempo!
Mica come il sabato e la domenica, quando lo stesso togli il pigiama e indossi la tuta e poi…che fare??? Non posso nemmeno prendere il sole: sul mio balcone fa la comparsa un’oretta, di mattina, di sbieco, e ciao! Saluta la vitamina D.
Da qualche giorno a quest parte, a metà mattina mi chiama una mia ex collega: ci facciamo un caffè nelle rispettive cucine, ce lo beviamo mentre facciamo due chiacchiere che spesso riguardano pure il lavoro, e ci salutiamo.
Questa quarantena mi butta talmente giù che ho poca voglia di fare chiacchiere. Per dirsi cosa? Che il coniglio non ha ancora imparato ad usare la vaschetta?!
Voglio la mia vita di prima!!!!!

Zona rossa – giorno 11

Parecchie colleghe lamentano nervi a fior di pelle dovuti agli “arresti domiciliari”.
A me basta leggere le mail stamattina per sversarmi la giornata!!!
La mia ASST ha inoltrato un file di excel per farci rendicontare la nostra attività lavorativa giornaliera in smart working..
Con tutti i problemi che ci sono, questi pensano a farsi rendicontare il lavoro, togliendoci ogni briciolo di fiducia! Come se invece, stando in ufficio, non potessimo farci i cavoli nostri. Come se stando da casa lavori meno. In realtà, mi sembra di lavorare di più, di vivere un perenne stato d’ansia da prestazione.
Col momento che stiamo vivendo, con colleghi amministrativi positivi (eh, ma agli amministrativi perché dare mascherine? Mica lavorano coi malati!).
Invece di concentrarsi sugli eroi che abbiamo: medici, infermieri, oss, ota, tecnici di laboratorio, tecnici radiologi, e dargli tutto ciò di cui abbisognano. Invece di cercare di alleviare un po’ del loro lavoro, magari togliendogli proprio il lavoro amministrativo dandocelo a noi, o mettendo noi a rispondere ai telefoni, che ne sò….!!!
No: rendicontiamo giorno per giorno, ora per ora.
Ma andate affanculo!

Zona rossa – giorno 11

Eh no. Oggi non ce la faccio.

Il mio numero d’ufficio ha la deviazione di chiamata sul mio cellulare.

peccato che il mio numero d’ufficio fosse quello del reparto di Medicina 1.

Durante la mia pausa pranzo, interrotta piú volte, ricevo la telefonata composta e dignitosa di un figlio che cercava informazioni sul padre portato questa notte in ospedale e che dovrebbe essere stato ricoverato. Spiego il disguido (accidenti al centralino!), cerco i numeri dell’ufficio Accoglienza, non sapendo se fosse stato istituito un apposito numero, che provo a cercare, in intranet e in internet, senza successo, e me ne scuso.

dall’altra parte del telefono, una voce educata ringraziava, e io mi sono sentita tanto impotente.

Avrei voluto augurargli ogni bene. Ma avevo già il groppo in gola.

Zona rossa – giorno 10

Per fortuna, un pochino ino ino di lavoro c’è l’ho. E lo centellino tra mestieri di casa, letture, ginnastica.
oggi mi sono messa a tirare a lucido…la mia aspirapolvere! E le ho ordinato i filtri. Originali: trattiamola bene.
Tende? Lavate.
Vetri? Lavati.
Divano? Lavato.
Cucina? Pure.
Vabbé, allora taglio le unghie al coniglio. In effetti, le aveva lunghe te, e faceva casino quando zampettava per casa. Domani lo spazzolo.

per pranzo mi so fatta la pizza: l’ho stesa troppo ed é venuta troppo sottile. Poi mi mancava la mozzarella e vi ho messo le sottilette: non l’avessi mai fatto!

i canti al balcone di oggi vedono poca partecipazione. Ci stiamo ammosciando. Le dirette Facebook dei vari artisti sono impedite dalla mia banda, così opto per la tivù. Fanno Pechino Express. Lo vedo dalla prima puntata, eppure lo lego al mio ricovero per polmonite da legionella. Mi teneva compagnia e mi faceva fantasticare di visitare posti esotici.

prepariamoci ad un’altra giornata di quarantena…

Zona rossa – giorno 9

Oggi per me comincia la mia quarta settimana di quarantena. La terza in Smart working. E inizia com’era iniziata settimana scorsa: con un’altra psichiatrica che ci scrive e pretende…di oscurare tutto.

oggi é anche una giornata speciale: esco a fare la spesaaaa!!! Così mi preparo l’autocertificazione (ma chi l’avrebbe mai detto che un giorno mi sarei dovuta fare la giustifica per uscire??!!), e munita di guanti, mascherina ffp3 usata e riusata, vado al supermercato. Devo fare la spesa per me é una conoscente a casa in quarantena vera perché positiva. Lascio la spesa per terra, al portone, arriva il figlio (positivo anche lui), mi da i soldi (fortuna che avevo i guanti) e tanti saluti.

in giro gente sulle panchine, al parco, a fare jogging, mentre abbiamo saturato i posti in rianimazione. Incoscienti!!! Anche su Facebook leggo di altrettanti pazzi in giro. Forse non dovremmo promuovere tanta positività. Proporrei di cambiare l’hastag #andrátuttobene con #andrátuttostretto, tanto per ridere un po’ ma togliere l’idea, la percezione che possiamo cavarcela così a buon mercato.

Dopo più di una ventina di giorni a casa, mi facevano male i tendini a cambiare le marce dell’auto!

Riprendo a lavorare, attività quasi inesistente, continuo a leggere ‘Furore’,  rispondo a qualche messaggio, provo a saltare la corda… poi finalmente arrivano le h.18: tutti fuori a cantare! E finalmente, il secondo gruppo di ‘animatori’ mette In William survive”: si ballaaa!

…peccato che fuori ci fossero tre gatti spelacchiati. Un flop. Stasera non ho fame. Ormai mangio piú per golosità… quando sento una musica fuori… mi affaccio: ma sì, é la sigla di Topolino!

Prendo la torcia, mi faccio vedere, saluto, non ci provo a cantare:  sono stonata e ho la voce debole. E poi basta con st’inno! Mi accingo a lavare i piatti quando suona il telefono. A volte, non tutti i mali vengono per nuocere! Il coronavirus mi sta dando, paradossalmente, tante opportunità, come quelle di sentire un vecchio amico! É stato bellissimo e mi ha fatto un immenso piacere. E a volte ti accorgi che è proprio vero: il passato non passa. Basta volerlo.

Zona rossa – giorno 8

E’ domenica. L’offerta televisiva fa proprio pena, così finisco la serie che stavo seguendo su Netflix, Virgin river, carina, un classico sentimental-romantico, tra una telefonata e l’altra. Se da un lato, abbiamo tutti voglia di comunicare con qualcuno, dall’altro non sappiamo più cosa dire, non ci sono novità, comincia a calare un po’ di apatia…
Qui di fronte si sono organizzati con uno sventolio di tricolore e delle belle casse e alle ore 18 di ogni giorno richiamano la gente suonando le pentole, padelle, e qualsiasi altro oggetto per richiamar l’attenzione e farsi sentire dalle abitazioni circostanti, ancora con le finestre chiuse visto le temperature non ancora miti. Poi partono con le solite 3 canzoni: Il cielo è sempre più blu (ma non hanno capito che non fa presa), Azzurro (già andiamo meglio ma solo nel ritornello) e l’inno d’Italia (bene, ma solo la prima parte che sanno tutti). Quest’oggi fa concorrenza un gruppetto dei palazzi di fronte, anch’essi con casse a palla, ma incredibilmente, ribattono quelli di una cascina ristrutturata che sta alle spalle e con i solo vocioni reintonano l’inno. Sembriamo scemi, ma almeno si fa qualcosa!
E si bissa alle ore 21, con l’aggiunta delle torce per farsi vedere.

Non posso fare a meno di pensare che, quando si tornerà alla normalità, magari manco ci guarderemo in faccia, continueremo a non salutarci come non ci siamo salutati fino al giorno della quarantena, etc. Siamo animali sociali ma pur sempre…milanesi imbruttiti!

Zona rossa – giorno 7

In realtà, per me si chiude la terza settimana di quarantena. Oggi però é sabato e non lavoro. Non ho voglia di fare i mestieri, dovrei centellinare i prodotti specifici almeno fino a lunedì, quando proverò a fare la spesa, ammesso e non concesso di trovare le file pazzesche. Spero di avere fortuna. Chi l’avrebbe detto, il mese scorso?

E così, tra gli innumerevoli compiti di inglese, la cucina e le pulizie, vengo intervallata da tante telefonate, addirittura da videochiamate: che bello vedersi, anche se solo in video!

Tutti in tuta, sfatti, manco pettinati, figuriamoci se truccati (le donne)! Riprendo una serie Netflix e vengo interrotta questa volta da auto della polizia che coi megafoni invitano a stare tutti a casa, e dopo un po’ vengo nuovamente interrotta da rumori che arrivano da fuori. Mi affaccio dal mio balcone al quinto piano: più in basso, da una villa multifamiliare, piú terrazze hanno affisso la bandiera italiana e cantano “Azzurro”. Con un po’ di imbarazzo, mi aggrego. Poi l’inno d’Italia è ancora azzurro, poi ci salutiamo tutti, anche quelli del palazzo e di fronte, e ci si da appuntamento per domani, stessa ora.

E con questo, se c’è qualche superstite che legge, vi salutò e vi rimando a domani.

Zona rossa – giorno 6

Iniziano a diminuire drasticamente i livelli dei detersivi, candeggina e ammoniaca. Mi tocca darmi una calmata con le pulizie extra, sennò non ne avró più per quelle ordinarie, e vorrei tirare ancora qualche giorno prima di uscire a fare la spesa, anche perché ci sono file folli, fuori dai supermercati, e noi dobbiamo fare la spesa nei punti piú vicini. Anche se vicino a me ci sono solo negozietti e piccoli supermercati cari.

Oggi ho fatto quasi niente di ginnastica né di lavoro. Per combattere la noia, ho telefonato a mamma, sorella, due zie, un amico e un’amica, tre colleghe e….e niente: mi annoio! Vivo fasi alterne. Ogni tanto mi affaccio al balcone, per respirare aria fresca e sperare di veder qualcuno in lontananza che mi faccia capire che non sono l’unica sopravvissuta. Nel frattempo, ho pure fatto la mia prima Apple pie e devo dire che, per essere la prima, non é nemmeno male!

Per fortuna ho la linea internet, sennò con la sola offerta ti mi sarei tagliata le vene!

#iosperiamochemelacavo

#iorestoacasa

#litaliachiamó

Zona rossa – giorno 5

Oggi finisco i mestieri cominciati ieri.
Lavorativamente parlando, ho poco e niente da fare.
Provo qualche esercizio ginnico, ma mi stanco subito.
Magari mi metto a fare una torta alle mele, ne ho a decine!

Oggi è più difficile degli altri giorni, la solitudine prolungata si fa sentire, e il telefono non mi basta. Finisco anche gli esercizi di inglese, leggo qualche pagina di ‘Furore’, ma non passa. Oggi non passa proprio!

Zona rossa – giorno 4

Oggi sono reattiva. Fanculo al virus, oggi mi sento energica, ho bisogno di uscire a prendere una boccata d’aria e fare la spesa. Approfitto della pausa pranzo, metto guanti e mascherina, prendo l’auto e vado verso il supermercato. Non credo ai miei occhi: c’era una fila di gente col carrello che arriva fino al parcheggio! Non ci penso nemmeno a mettermici pure io. Piuttosto vado alla piccola Coop, che é cara, ma vedo che non ha fila fuori e quindi faccio un po’ di spesa. Una busta piena: 50 euro! Li mortacci!

Vabbé, é una bella giornata e ne approfitto per tirare giù le tende, lavarle, lavare tutti gli infissi, i vetri, rimettere le tende. E siccome non mi basta, ho bisogno di risentire il mio corpo, mi metto a fare un po’ di ginnastica. Questa é la terza settimana che sono a casa, e la muscolatura mi sta lasciando, sento fatica per qualsiasi sforzo, fosse anche fare una scalinata.

E giusto per non buttare via il tempo, sto seguendo un corso di inglese su dvd, facendo i compiti, leggo, fantastico nuovi tour USA da fare.

Insomma, non mollo. É dura essere isolata da sola. É vero, c’è il telefono, ma non é la stessa cosa…

Oggi l’OMS ha dichiarato la pandemia. Abbiate cura di voi. Non uscite, se potete. E se proprio dovete, mettete guanti e mascherine, lavatevi spesso le mani, mantenete una distanza di un metro con le altre persone. Non prendetela sottogamba. Io una brutta polmonite l’ho già fatta, non vorrei fare il bis!

Zona rossa – giorno 3

Dopo un comunicato a reti unificate di ieri sera del Presidente del Consiglio Conte, ci svegliamo in un Italia tutta interamente zona rossa. O per meglio dire ‘protetta’, o ancora, per alcuni, arancione.

Io continuo la mia seconda settimana di telelavoro, o ‘lavoro agile’: per gli esterofili: smart working. E devo dire che l’ansia da prestazione non mi è ancora passata, è un po’ come se dovessi sempre, costantemente dimostrare che io ci sono, non sto facendo la furba, lavoro. Lavoro… Con questa emergenza il mio lavoro è calato drasticamente. Lavoro ad un paio di cose, corsi e verifiche, che sono giocoforza slittati a maggio e settembre, per essere ottimisti. Quindi…non ho molto da fare, onestamente. Potrei ‘ripassare’ un po’, effettivamente. Ma leggere vagonate di pagine al pc mi riesce male. Quando mi devo concentrare su qualcosa preferisco la carta, il poter sottolineare, scrivere appunti….

Diventerò ancora più grassa di quello che sono. Non mi fido tanto ad uscire, incrociare persone è un attimo. Ed è un doppio bene evitare l’ascensore: evito contagi e faccio 5 piani di scale a piedi!
Volevo scaricare un’app per fare ginnastica a casa, ma….sono tutte a pagamento!!!
Lo scorso anno avevo l’imbarazzo della scelta e tante o quasi tutte gratis! Ora avranno fiutato il businness.

Inoltre, non so perché, mi arrivano sempre pubblicità di tapis roulant…un messaggio subliminale?

Zona rossa – giorno 2

Oggi è il primo giorno lavorativo in zona rossa.
Sono in smart working dalla scorsa settimana, e come tutte le mattine, mi alzo un po’ più tardi, accendo il pc (più per scaramanzia che per altro: metti che non funziona, mi tocca andare in ufficio in ospedale, il luogo meno salubre attualmente), bevo il caffè e leggo quel paio di mail che mi sono arrivate.

E’ tutto rimandato a tempi migliori, quindi…ho poco da fare. Ripasso qualcosa, gironzolo in rete, e aspetto che termini l’orario di servizio per andare a fare scorta di verdure per il mio coniglio. Oggi andrò in un’azienda agricola: non che possa fare chissà quale scorta, ma almeno spero sia più fresca rispetto a quella del supermercato dove vado. E magari incrocio meno gente.

Oggi la Lombardia è chiusa, insieme a 11 comuni. E’ incredibile: la Regione più attiva…
Però, pensa se fosse successo al Sud, dove le strutture ospedaliere sono meno distribuite che qui. Dove abito, nel raggio di pochi km non conto gli ospedali che ho: il Sacco di Milano, quello di Garbagnate (c’era anche quello di Bollate ma l’hanno chiuso), quello di Passirana, di Rho, di Paderno Dugnano, di Saronno, e ancora quelli di Milano, di Legnano, di Magenta… Non possiamo lamentarci!

Con la direttiva del Consiglio dei ministri di ieri, 8 marzo 2020, penso che prorogheranno la durata dello smart working. Tanto, sempre in ‘isolamento’ dobbiamo stare…. Però è una rottura… a volte cerco una voce amica, un caffè preso virtualmente insieme…

Se volete favorire…

Zona rossa – giorno 1

É domenica, mi sveglio presto, accendo la tv e vengo a sapere che la Lombardia passa in Totò a zona rossa. Non solo: da ieri sera c’è l’assalto ai treni per scappare da qui, perché qualche giornalista idiota ha pubblicato il provvedimento non ancora varato. Immaginiamo cosa vuol dire spostare migliaia di persone dirette in ogni dove, alcune delle quali potenzialmente positive, e pensate a tutte le persone con le quali hanno scambiato magari anche solo una frase….. Ci meritiamo l’estinzione per eccesso di stupidità.

La giornata non è bella, il sole non fa capolino e l’aria é freddina. Sarei dovuta essere a Maiorca da ieri, e invece eccomi qua, nella zona rossa. Mannaggia al Coronavirus e a chi l’ha inventato!

Ed é passata la seconda settimana che sono a casa. Ieri ho fatto una passeggiata, e oggi mi fanno male persino i muscoli delle gambe! Cerco un’app per fare esercizi fisici a casa: incredibilmente, ora sono tutte a pagamento!!!

Non ho molta voglia di uscire, e invito una cara amica a pranzo, che per tutto il tempo che é stata a casa mia pareva fare un balletto per evitare di sfiorarci, di stare vicine. Mah!

I posti nelle rianimazioni stanno finendo. Io spero che proroghino lo Smart working, perché non vorrei proprio rientrare a lavorare (in ospedale!), troppo rischioso.

Comunque, bisogna che l’italiano medio faccia un salto di qualità intellettuale. Sennò é tutto inutile.

P.s.: buona festa delle donne! Non ho mai festeggiato per motivi vari e spero che quest’anno siano rimaste tutte a casa!

Prima uscita in maschera

Sono chiusa in casa martedì in auto-isolamento coi sintomi influenzali.
Tralascio l’odissea delle telefonate al medico di base, al numero unico regionale (che ti rimbalza al medico di base), alle mascherine ed altri dispositivi di protezione terminati ovunque…. Il tampone non me lo fanno fare, ma mi consigliano solo di uscire settimana prossima con la mascherina. Anzi, a dire il vero, lo devo chiedere io. Alla faccia di tutta la pubblicità che stanno facendo alla sanità lombarda (dove, peraltro, io lavoro!) e all’efficienza e a quant’altro!

Stamattina DEVO uscire. Devo accompagnare i miei genitori alle Poste.
Indosso la maschera, come dettomi dal mio medico di base, ed esco.
Quelle (fortunatamente) poche persone che incontro ti guardano sorprese e incuriosite. Ma io tiro dritto. Vado a prendere i miei e li porto in posta.

Entrano prima loro, nel bussolotto che – immagino – contenga anche un Metal detector, e penso: non mi faranno entrare mai! Sembra che debba fare una rapina!!! Scaldacollo, cappello e maschera! Figurati!
Invece mi aprono, ma tutti mi guardano. Sono l’unica con la maschera. Per non contagiare eventualmente nessuno. Il Direttore ci fa accomodare non proprio subito, evita di darmi la mano, ci parla in maniera frettolosa, poi capisce il problema e rallenta. Alla fine voleva stringere la mano anche a me.

Lasciati i miei, vado a fare benzina. Posto che, durante il tragitto, chiunque ti guardi, e questo mi manda in bestia, siccome penso che devo andare a pagare intabarrata così, forse è meglio che metto i soldi in mano in bella vista, così non pensano che voglia fare una rapina. Apro la porta del benzinaio e due meccanici scappano appena mi vedono, prendendo un’uscita laterale. La commessa è stata più veloce che mai, la saluto, porgo i soldi e me ne vò.

Che palle! Sembro un’appestata! A me potrebbe anche fregarmene, ma chi mi dice che non infetto qualche immunodepresso???
D’altronde, io non so se sono positiva o no. Ho preso questo raffreddamento che mi porto da lunedì, unico giorno della settimana che sono andata a lavorare. Ricordo che ho cominciato quella mattina a starnutire e soffiarmi il naso.
E ricordo di aver soccorso un collega che stava svenendo alla macchinetta del caffè e quindi si era sdraiato sulle sedie lì vicino. Tanti altri colleghi si tenevano a distanza, per paura di sto cacchio di virus. Ma lui non aveva alcun sintomo, era una situazione che già conosceva, direi cronica. Così diceva.

E, ciliegina sulla torta, ho saputo dai colleghi che ai  dirigenti è stato scritto che avrebbero potuto proporre il telelavoro fino al 15 marzo ad alcuni dipendenti, a loro scelta. Ebbene: a me, che sono già in malattia “per influenza”, non me l’hanno proposto!

Siamo in buone mani! Ne usciremo!

…come, non lo so.

Grand Canyon attrattivo. Anche troppo!

29 maggio 2008. Ricordo la data perché era il compleanno di mia mamma.
Per risponderle al telefono, e per starmene un po’ da sola per godermi in santa pace quel paradiso, mi staccai dal gruppo.
Mi sedetti, non proprio sullo strapiombo, perché soffro un po’ di vertigini.
Cuffiette nelle orecchie, buona musica e respiri a pieni polmoni.
Non so cosa fosse ma, ad un certo punto, ho cominciato a percepire una specie di attrazione, di calamita, come un richiamo dal fondo del canyon.
Pensavo di immaginarmi tutto, lascio perdere, cambio canzone e rimango un altro po’.
Ci saremmo fermati in un villaggio lì vicino per la notte, quindi non c’era fretta.
Ma questa sorta di richiamo, di calamita attrattiva continuava, spaventandomi.
Non ho mai avuto idee suicide, non ho mai amato gli sport estremi, non ho mai amato mettere a repentaglio la propria vita, che è sacra, e soffro pure di vertigini. Figuriamoci se mi sarei fatta attrarre nell’abisso! Ma la cosa mi cominciava a spaventare, così mi alzai e raggiunsi i miei compagni.

A voi è mai successo, o devo pensare di andare dallo psichiatra?

U.S.A.

E niente: stufa di seguire le notizie sul Coronavirus, ammalata di raffreddamento proprio nella zona gialla, dove la paura di passare a zona rossa é palpabile, avendo una grossa concentrazione di ospedali nei dintorni a pochi mi di distanza, mi sollazzo leggendo guide turistiche, gruppi di viaggiatori su Facebook, ma dove il cuore mi batte piú forte é leggere dei viaggi on the road negli Stati Uniti.

personalmente, ne ho fatti due, uno piú bello dell’altro, a distanza di dieci anni. NEl mezzo, piccole vacanze e fai da te. Io non mi posso permettere grossi budget, e trovo che prenotando voli in larghissimo anticipo, e hotel di basse pretese, da pagare in loco, riesco sempre a farmi una vacanza. Basta stare attenti. E, devo dire che, prenotando d’anticipo e informandoci bene, anche i due tour statunitensi ci sono venuti a costare poco. Che per me é sempre una somma considerevole, ma farlo con un’agenzia viaggi ci sarebbero venuti a costare almeno una volta e mezza!

Quest’anno vogliamo andare a vedere l’Expo a Dubai, a novembre. Abbiamo prenotato subito i voli appena messi in vendita, è scelto l’hotel.

Eppure, quando leggo i diari di viaggio, o guardò foto e filmati dei viaggi on the road, mi viene un’immensa malinconia. Rivedere posti dove sono già stata e rivivere quella sensazione di tranquilla libertà, gli spazi aperti, i limiti di velocità che ti costringono a non correre forte ma, anzi, a goderti i paesaggi, a non viverla in maniera frenetica ed apprensiva, quasi ad elogiare la lentezza…wow! Ecco, io tornerei al volo! Mi metterei subito ad organizzare QUEL viaggio, mentre non abbiamo ancora organizzato il nostro a Dubai/Expo/Abu Dabi.
Non sono patita degli statunitensi, intendiamoci: non giudico turisticamente un paese dalla sua politica. Ma quei territori sconfinati, quel passaggio di meraviglie naturalistiche, quelle strade larghe e poco affollate mi hanno fatto stare bene. E questo é ció che mi importa in un viaggio.

E si va a lavorare (alla faccia del Coronavirus)

Stamattina arrivo presto. Il parcheggio dell’ospedale riservato a noi dipendenti è già stranamente tutto esaurito. Strano. Stranissimo! Perché in genere a) arrivando presto i posti si trovano sempre; b) di lunedì qualche assenza c’è.
Invece, sembra che siano tutti ai loro posti di combattimento.
La hall dell’ospedale e la sua ‘main street’, invece, sembra irrealmente vuota. Pochi pazienti, pochi utenti. Lo stesso al bar, normalmente affollato.
Pochissime le mascherine che vedo indossate, anche se dicono che non risolvano né impediscano nulla.
Ad ogni buon conto, preferiamo le macchinette del caffè in fondo, alla fine dell’ospedale, meno prese d’assalto, per evitare l’assembramento del piccolo bar dove facciamo solitamente pausa. E invece, un nostro collega ci collassa proprio là. Ci mancava questa!
Fortunatamente per noi, non è sindrome influenzale, visto che è soggetto a questi sbalzi pressorei. Vabbè. Riprendiamo il nostro lavoro, che è meglio. E andiamo avanti. Alla faccia del virus!

Arriva, eccolo! Il Coronavirus

E diciamocelo: i TG non vedevano l’ora di trasmettere l’ennesima notizia sensazionalistica. E’ arrivato il coronavirus in Lombardia! Ben SEI casi. Di cui uno ricoverato a 4km da casa mia, all’ospedale Sacco.

Ora: non voglio assolutamente sminuire la pericolosa portata di questo virus. Non voglio nemmeno accusare le istituzioni di non avere un’attenzione così alta (lavoro anch’io in ospedale, e a noi non ci hanno dato manco le mascherine di carnevale! Anzi, a dire il vero, le mascherine MANCANO, altro che! Quindi giusto che vadano per lo più al pronto soccorso).
Quello che mi da fastidio è il voler fare sensazionalismo a tutti i costi, persino a costo di dover diffondere il panico!!
[Ma non lo capiscono che diffondere il panico, in casi come questi, è controproducente?!
Non lo capiscono che se la gente comincia ad intasare ancor più i pronto soccorsi non ce ne usciamo più?]
Odio le notizie date così. Da quando ci sono i tg privati post monopolio Rai, sono certa che l’informazione non ne abbia così giovato. Altro che libertà di stampa!

L’affido

No, niente bambini in affido.
Oggi scrivo di una (bella) persona che, in un certo qual modo, mi sono sentita di aiutare, prendendola letteralmente “in affido”.
Un’amicizia in comune, lo stesso luogo di lavoro e si finisce ad uscire insieme, dapprima sporadicamente, poi sempre più frequentemente, e infine, a frequentarne persino la famiglia.
Sapevo che, prima o poi, tutto avrebbe avuto un termine. E’ sempre così quando chi frequento amichevolmente si fidanza con qualcuno. E questo qualcuno era già nell’aria: questione di tempo.
E per tutti questi mesi mi sono imposta di non affezionarmi, proprio come mi immagino sia un affido. Prima o poi, la persona in questione se ne andrà, con le sue gambette e con le sue forze, che è riuscita a recuperare anche grazie a te.
Non ti chiamerà più senza preavviso per invitarti a cenare a casa sua. Non ti cercherà più per qualche pranzo in famiglia o qualche commissione. E’ sempre così. E’ la normalità, dicono. Però fa dolcemente male, ma assolutamente piacere, vedere che quella persona non solo si è rialzata, ha cominciato a camminare dapprima barcollando e poi con passo sempre più deciso, ma è arrivata a spiccare il volo. Anche grazie a te che l’hai sostenuta, ascoltata, incoraggiata. Con un sorriso, una parola, una risata, un abbraccio.
Ora vai, incontro ad un’altra vita e con un’altra vita. Spicca il volo!

Buona vita.

136 follower?!

Ma siete matti???!!!!
Ho dovuto leggere e rileggere quella frase: “hai 136 follower” perché non ci credevo!
Ho aperto questo blog più di una dozzina di anni fa; sono abituata e non ricevere alcun commento e a vedere che 1-2 persone hanno visitato il sito. E nemmeno tutti i giorni, anche perché io stessa non scrivo tutti i giorni, anzi!
Da dove escano fuori centotrentaseifollower proprio non me lo spiego.
Vi siete dimenticati di disattivarmi?
E niente, volevo dirvi GRAZIE!

Mi sto rendendo sempre più conto che abbiamo un sacco di conoscenze ma quasi nessuno per parlare davvero. Qualcuno a cui telefonare e dire: “siediti: ti devo raccontare una cosa”, a qualsiasi ora e in qualsiasi giorno. 
Io non sono una buona oratrice: preferisco ascoltare, riflettere e rispondere.
Ovvero, tutto il contrario di quello che faccio quando scrivo e pubblico qui 😛

Caro uomo. La violenza sulle donne

Da circa 5 mesi ho preso a frequentare un’amica vittima di violenze domestiche.
In realtà, non era nemmeno amica mia, ma l’ho vista così persa, così uno scricciolo in mezzo al mare, che -certo- ora non è più in tempesta, ma non è certo un mare calmo.

Anni di maltrattamenti e violenze per nascondere e non far scoprire uno o più tradimenti. E già qui mi chiedo che senso abbia: paura di perdere lo status quo?

Perché le violenze iniziano e si scatenano ogni qualvolta la moglie sta per scoprire qualcosa che non dovrebbe sul telefono del coniuge. E qui mi viene la seconda domanda: ma se hai così terrore di farti scoprire da tua moglie, perché lasci il telefono in giro e non lo silenzi??

Ma vabbè. Forse avere una moglie di cui ti frega a tratti fa sempre comodo. Magari per mantenere anche una figura sociale.

Poi, però, la lucidità la riprendi quando porti più e più volte la moglie in Pronto Soccorso o dai dottori, facendole raccontare la versione che vuoi tu, che ti scagioni. Allora, quando vuoi, ragioni pure??? 

Detto che mi fai schifo nella maniera più bassa, caro omuncolo vigliacco e troglodita, passo al resto della popolazione maschile che -spero- sia meglio di te.
Perché non  vi schierate apertamente contro le violenze (oggi si chiamano “di genere”)???
Perché non biasimate i vostri amici per quello che fanno?
Perché è inutile che ce la raccontiamo: stanno in mezzo a noi, sono i padri di famiglia che non ti aspetti, quelli che magari pensi abbiano una vita perfetta, e invece dentro hanni i demoni. Noi da sole non ce la potremo mai fare. Abbiamo bisogno del vostro aiuto.
Ma spesso mi domando se ve ne frega davvero qualcosa, o -peggio- se non vi faccia comodo così.

 

Buongiorno Blog!

Rieccomi dopo essere scomparsa per un po’.
Avrei voluto scriverti, caro mio blog, ma ti avrei scritto sempre le solite, vecchie e trite lagne, mentre avrei voluto regalarti nuovi pensieri, novità, qualche chicca….

Bhè, magari una piccola novità c’è:
ho cambiato auto. E’ stata dura decidere di mollare la mia vecchia ma ancora funzionante C3 e, ancor più, scegliere quale auto comprare con un budget risicato.
Alla fine, ho preso una Fiat 500 (nuova: a me andava anche meglio una Km0 ancor più accessoriata, ma per non sentirmelo lagnare fino alla fine della vita dell’auto, ho preferito accontentarlo), rossa fiammante e con volante e interni bianchi.
Certo: è piccola. E le 2 porte sono scomode. Però almeno faccio un sacrificio (5 anni di rate!) per qualcosa che mi piace. L’opzione era l’Opel Karl Rocks, ma in giro se ne vedono davvero poche e in internet non trovo nemmeno una recensione! meglio non dar retta alla mia vena di “bastian-contrario” e evitare di buttar via soldi in fregature. Se è una delle auto più vendute, ci sarà un perché!
Devo essere sincera: la mia vecchia C3 (annata 2003) era più silenziosa e aveva lo specchietto di cortesia per noi donne! Eccheccazz: quanto costava metterlo?!
Quella specie di tablet inserito nel cruscotto ho scoperto non mi rimanda il video ma solo l’audio del navigatore del mio smartphone, per poi -però- rimandare le immagini delle copertine dei dischi che ascolto. Mah!!!
Comunque, il finale del 2019 mi ha riservato parecchie spese extra, purtroppo, ma anche un inizio di un’amicizia, spero vera ma ci conto poco, visto le fregature prese.
Lavorativamente parlando, non è che si va bene, anzi. Però potrebbe andare pure peggio, quindi che faccio? Mi butto alla ricerca di un altro posto, magari in direzione? Non saprei… di passare dalla padella alla brace ne ho piene le tasche.

Ah, non ti ho detto, caro blog, che mi sono iscritta a ben 3 corsi:
– inglese (eh sì: ci riprovo! l’inglese serve per viaggiare, inutile nasconderselo. Devo sforzarmi di impararlo, anche se non mi piace!
– spagnolo (conversazione): e non ce n’è: lo capisco mooolto meglio di quanto riesca a parlarlo! Ho proprio un blocco nel parlare in lingue straniere!
– degustazione vini. In realtà, è un secondo corso, per cui ho perso tutta la storia delle vitificazione, delle uve presenti in Italia, etc. Questo corso ci fa degustare 2 bottiglie che porta il prof e le discutiamo insieme. Amen.
A tal proposito, ho appena scoperto che sotto casa mia si è aperto un’enoteca. Chissà se hanno la fidaty card! 🙂

La mia lotta contro il peso si è arresa eoni fa. Mettermi a dieta mi fa cambiare d’umore, però certo: i vestiti che non ti stanno e la difficoltà a trovare la mia taglia dovrebbero mettermi in guardia, così come la salute del mio corpo.
Però mangiare è un piacere, un divertimento….che ci posso fare??? 🙂

Per ultimo, ho appreso da Facebook che l’amore della mia vita ha avuto un infarto.
Tanti anni sono passati, ma non quando penso a lui. Mi sembra di rileggere il romanzo di Marquez, l’amore ai tempi del colera e il sentimento eterno di Florentino 🙂

Ultimo giorno di lavoro qui

Era il 2004 quando cambiai lavoro, presidio ospedaliero ed ufficio.
Oggi cambio ufficio e lavoro, ma scendo solo di un piano.
Eppure, pur potendo vedere i miei colleghi ogni giorno, so per certo che nulla sarà più come prima. Perché quando lasci un posto, te ne vai, abbandoni, sei fuori, out. Non fai più parte di quel cerchio.

Qui ho imparato molto, ma il mio contributo lavorativo si è affievolito sempre più, fino ad arrivare ad una percentuale troppo imbarazzante. E’ giusto andarmene, lasciare il posto  qualcuno che possa contribuire marcatamente.

E oggi è l’ultimo giorno. Scrivo queste due righe quando mancano pochi minuti al “suono della campanella”, metaforicamente parlando, ma non c’è la pausa estiva ed il ritorno tra i banchi. Domani ci saranno colleghi che tali resteranno, senza quel briciolo di amicizia che prima ti legava.

Vorrei poter uscire facendo finta di niente, per non far vedere le lacrime.

Chi è senza dubbi è un pirla

C’è proprio bisogno di approfondire il concetto?
Chi pensa di avere la verità in tasca, è morto dentro.
Chiuso
Stop.

Occorre farsele le domande.
Occorre avere dubbi.
Occorre essere più scettici, dissertare, informandosi e chiedendosi da dove vengono le informazioni.
Occorre usare di più il cervello e meno la pancia.

Io ve lo dico: non stiamo andando bene.

Arrivederci Italia

Una volta era chiamato, a ragion veduta, “il bel Paese”.
Oggi di bello, a parte le ricchezze naturalistiche ed architettoniche, non ha più nulla (o quasi, perché non voglio essere pessimista fino in fondo!).

L’italiano era un popolo accogliente, lavoratore, simpatico, altruista, generoso, umile, simpatizzante, festaiolo, legato alla famiglia.
Oggi non ci riconosciamo più. Siamo sempre più arrabbiati, rancorosi, sempre pronti a scaricare le nostre frustazioni su qualcun altro povero malcapitato.

La famiglia non è più quella di una volta, anche perché la donna si è emancipata diventando indipendente, e questo ha dato il via a divorzi e separazioni prima di allora impensabili. Ma si fanno anche sempre meno figli, perché oggi si è più egoisti e si vuole, per se stessi ed i propri figli, mantenere uno standard di vita più alto possibile, ovvero sempre meno sono le rinuncie a cui vogliamo sottostare. E i figli sono rinuncie. E sono impegni. E la famiglia italiana è ancora fortemente poggiata sulla figura materna, che si accolla l’intero peso (non menziono nemmeno i piccoli aiuti ricevuti dagli uomini): non si può certo paragonare alla parità della famiglia nord-europea.

E quindi, ancora non del tutto usciti da questa crisi pluriennale, ne abbiamo già i conti svuotati e i canini di fuori, pronti a mordere.

Ci siamo incattiviti, prendiamo posizione su tutto senza approfondire niente, non siamo più simpatizzanti: siamo veri e propri tifosi che non accettano mezze misure. Se non tifi la Juventus vuol dire che tifi il MIlan: è assolutamente impensabile sia che tifi squadre minori, sia che -addirittura- sia estraneo! Tifare per l’arbitro, invece, è sospetto.

Siamo passati dallo sfoggiare “chi ha pagato di più” al passarci gli indirizzi dove risparmiare pure sulla carta igienica. Però lo smartphone di ultima generazione a prezzi pari a 2/3 di stipendio lo vogliamo tutti, e tutti lo vogliamo cambiare dopo un paio di anni. Forse per rivincita.

L’italiano non si vergogna più nemmeno di palesare le proprie idee razziste.
Perchè -per me- il razzismo è la paura verso chiunque versi in condizioni peggiore delle tue. La paura che possa contaminare anche te.
Prima erano i meridionali. Poi vennero gli uomini di colore, prevalentemente dall’Africa e dall’Asia. E ci diedero un capro espiatorio per tutti i nostri mali.
Ormai abbiamo un velo di tristezza spalmato addosso. Una rassegnazione che bolle, che non aspetta altro che un varco per sfogarsi.

Ma quanto brutti siamo diventati?
Camilleri, il grande scrittore, sta morendo in un reparto di rianimazione, e c’è gente che lo insulta sui social, solo perché ha osato prendere posizioni su questioni politiche.
Come se ai politici fregasse qualcosa di noi!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Ma dove vivono?? Cosa guardano? Cosa leggono?? Leggono????

No, perché siamo sempre più ignoranti! Perché la cultura è sforzo, è impegno. Molto più semplice rimanere ignoranti. Fermarsi ai titoli.
E poi, vuoi mettere com’è più facile avere un popolo ignorante da gestire??

 

Lega Salvini

1 italiano su 3 ha votato lega. Da nord a sud. Il centro(?)destra dilaga.
Non in nome mio, che mi sono turata il naso e, con grande schifo, ho votato PD solo per non andare a disperdere il mio voto.
E niente: agli italiani non gliene frega niente.
Non gliene frega niente dei 49 milioni di NOSTRI euro rubati dalla Lega (ma guai se scoprono che l’amministratore di condominio fa la cresta!).
Non gliene frega niente della Digos impegnata a rimuovere striscioni, senza andare troppo per il sottile (a Milano è stato rimosso anche uno striscione che recitava semplicemente: ‘Restiamo umani’!).
Non gliene frega niente del divieto di espressione, quindi, garantito invece dalla nostra Costituzione (che, se tanto mi dà tanto, sarà a breve modificata).
Non gliene frega niente e manco gli indigna che una professoressa si veda sospesa per 2 settimane per non avere controllato l’operato dei suoi studenti.
Alla faccia delle libertà!!!
Non gliene frega niente che si proclamino porti chiusi, che invece sono aperti.
Non gliene frega niente che i migranti siano solo un’arma di distrazione di massa, che non c’è nessun pericolo migrazione, che i numeri sono mega-gonfiati.
Non gliene frega niente.
Vogliono sentirsi dire ciò che vogliono sentirsi dire, costi quel che costi, anche a spese della verità e della libertà.
Speriamo di non doverla pagare cara e amara.
Come le purghe dei nonni.

Ebbasta

Alla fine, non ho più voglia di chiedere spiegazioni, che tanto non arriverebbero.
Non ho più voglia di innestare ragionamenti.
Non ho più voglia di un dialogo costruttivo, che tanto per essere tale, occorre prima che le persone pensino.
E le persone non pensano. E se lo fanno, lo fanno con fastidio.
Le persone vogliono vivere così, ma soprattutto, ti vogliono vivere così: quando e se fai comodo.

Cercherò di adeguarmi.
Mi allenerò a non propormi in aiuto. A non propormi in soccorsi. A non esserci per esserci, ma per fare. A non essere un punto fermo per gli altri. D’altronde, loro non lo sono e non lo fanno.

Sono tutti chiusi nel loro piccolo mondo, dal quale escono secondo convenienza.
All’amicizia, quella vera, non ci credo più. Rimangono gli amici di vecchia data, quelli sì, quelli sono gli unici. Il resto è solo e soltanto convenienza.
Fanculo a tutti.

Tour della Giordania “Petra e il Wadi Rum” – Aprile 2019

Partiamo dall’aeroporto di Malpensa alle 11,15. Lasciamo le valigie ad un lentissimo check-in Alitalia (una decina di sportelli con tanto di addetti che si facevano i cavoli loro mentre solo 2 o 3 smaltivano la lunga coda) e prendiamo un piccolo aereo (due posti per 2 file). A Roma Fiumicino, un trenino ci porta da un terminal all’altro per il transito e prendiamo un aereo un po’ vecchiotto, al punto che il sedile del mio posto era completamente staccato dalla sua base! Vabbè…. Del pranzo a bordo è inutile che ve ne parli. Partite a pancia piena, che è meglio!

Ad Amman spostiamo le lancette dell’orologio un’ora avanti. Notiamo subito uomini in giacca e cravatta e uomini in una tunica bianca immacolata, inamidata e perfettamente stirata, elegantissimi, col classico copricapo bianco e rosso, la kefìa. Raggiungiamo l’operatore Mistral che ci indirizza verso il nostro pullman e la nostra guida, Khaled: un 40enne bassotto ma ben proporzionato, dalle labbra carnose, sempre in movimento, e un italiano non proprio perfetto.

Ci portano all’hotel Marriot della capitale, lussuoso -ma neanche tanto- dove riusciamo a cenare al buffet, vista l’ora tarda.

L’indomani, 1° giorno di tour: destinazione Wadi Rum.
Partiamo di buon mattino, portandoci dietro zaino e valigia. La prima sosta è presso il sito di UMM EL RASAS, famoso per i mosaici ritrovati all’interno della chiesa di S. Stefano, a cui si arriva dopo aver visitato le rovine di fortificazioni romane. Oltre un chilometro, si può vedere una torre di pietra senza scale interne:la guida ci ha spiegato che fosse utilizzata dagli anacoreti che vivano in cima, mentre i loro seguaci si accampavano sotto, provvedendo ai loro bisogni.
Si prosegue il viaggio fermandoci in una sorta di grande autogrill-negozio di souvenir di ogni tipo, carissimo, e finalmente si raggiunge, tramite la Strada del Deserto, che segue i binari della vecchia ferrovia dell’Hejaz, il WADI RUM.
Alloggiamo al SunCity Camp, un campo tendato tenuto, come tutto del resto, da una tribù beduina degli Howeitat: le camere sono una sorta di piccolo boungalow provvisto di bagno con doccia, ricoperto da coperte; il ristorante è all’interno di una grossa semisfera tipo i palloni che ricoprono i campi da tennis, però trasparente, per meglio apprezzare la visione del deserto all’esterno. Si capisce che il nucleo originario, invece, è rappresentato dalla zona bar, affollata di panche semplici e tappezzate di coperte.
Le montagne e la sabbia hanno un colore marroncino/rosso, vegetazione scarsissima, a tratti si scorgono delle dune. Un’escursione con pick-up fuoristrada ci farà apprezzare meglio il deserto e i brividi che mettono i guidatori, a tratti spericolati, che ci guidano.
Usciamo per conto nostro poi per vedere il tramonto: bello, ma sfortunatamente la natura non ci fa assistere al cambio di colori delle rocce delle montagne circostanti. Peccato.
Prima di cena, i beduini ci tengono a farci vedere e festeggiare con loro l’uscita (passatemi il termine) del montone cotto sotto la sabbia, che ci viene servito, in una cena a buffet, nel ristorante-palla che prende spunto dal film “The Martian” qui girato.
Finiamo la serata di nuovo allontanandoci dal campo per goderci il cielo stellato. Così come per il tramonto, l’aria non era limpidissima, m questo non ci ha impedito di vedere almeno le stelle tranquillamente.
La temperatura pensavo scendesse molto di notte, invece non è stato nemmeno il caso di accendere la pompa di calore in camera: è bastato il piumone.
Il mattino ci ha regalato una luce ancora più bella, e le foto che ho scattato ne hanno giovato. Dopo colazione, mi tocca salutare il gatto con cui avevo fatto amicizia: un bellissimo gatto rosso, ben tenuto, bellissimo pelo, dolcissimo.

SI riprende il cammino per il 2° giorno di tour: destinazione Petra.
Di buon mattino e col cuore in gola, saliamo sul pullman in trepida attesa che si realizzi il sogno che culliamo da ben…30 anni!!!
Non vi descrivo l’emozione!!!
Fatti i biglietti (carissimi: 50 dinari giordani, circa 60€) al Visitor Center, ci accingiamo a visitare Petra con la nostra guida che si attarda a spiegarci tutto il tratto di strada che porta al Siq, mentre tutti noi ormai eravamo frementi di arrivare al dunque. E quindi vai di spiegazione soporifera delle Case del Djinn,le case dello spirito a guardia del sentiero, costruite anch’esse dai nabatei, la Tomba dell’Obelisco e altre ‘facezie’ perché tali ci sembrano rispetto a ciò che stiamo per vedere.
Arriviamo al Siq, la gola, una faglia geologica con pareti alte 200mt e stretta anche 2mt, la via sacra, che comincia in prossimità di un ponte e di una diga, posta ultimamente a difesa del sito, vittima spesso di improvvise inondazioni. Nel tratto finale la gola si stringe, e l’attesa sale:finalmente intravedo lo scorcio del Tesoro, e a stento trattengo le lacrime.
30 anni ho atteso questo momento, e ora non mi sembra vero. Forse sto sognando. Forse sto mentalmente rivivendo tutte le fotografie, i documentari visti, ma il gran vociare che piano piano ci invade arrivando di fronte a l Tesoro, mi fa tornare coi piedi per terra. Ce l’ho lì di fronte a me, bella più che mai. Non fa niente che ci sono orde di turisti ovunque, che devi stare attenta alle carrozzelle che portano i turisti in un via-vai frenetico, ai beduini che offrono le loro mercanzie, ai loro bambini che per un dinaro ti vogliono vendere vecchie cartoline o braccialetti vari. Io raccolgo un piccolo sasso, lo pulisco, quasi lo lucido, e lo metto gelosamente nello zaino, insieme al biglietto d’ingresso: i souvenir più belliche attestano che non ho sognato: sono proprio qui, di fronte a questa tomba scavata nella roccia di arenaria, non visitabile, nota come il Tesoro, il simbolo di Petra.
Non amo farmi i selfie, ma stavolta cedo e me ne scatto un’infinità. Non riesco a staccarle gli occhi di dosso. Vorrei darmi un pizzicotto, ma la guida ci richiama per la prosecuzione della visita, passando al siq esterno che ci porta alla Strada delle Facciate, a tombe e case, a bancarelle dei beduini. A proposito di bancarelle, merita una visita una in particolare: quella di una signora mi pare neozelandese che sposoò un beduino, visse in una delle grotte lì vicino e scrisse un libro tradotto in molteplici lingue tranne che in italiano (vorrà dire che leggiamo poco?): “Sposata con un beduino”, appunto. La signora realizza bellissime lavorazioni in argento e pietre dure.
La visita prosegue presso l’Altura del Sacrificio, mentre orde di bambini continuano a cercare di venderti la solita mercanzia, e greggi di pecore pascolano tra le rovine; il Teatro, le Tombe Reali, la Porta del Temenos, e infine….il (pessimo) ristorante dove di rifocilliamo col buffet preso d’assalto e l’ormai solito pane e hummus che mi salva dal non poterne già più del cibo speziato. Mentre il mio compagno d’avventure intraprende la non facile scalata al Monastero (800 gradini per quasi un’ora di strada per tratta), io ed altri compagni di tour ne approfittiamo per goderci con più calma -e senza la guida!- il sito e, soprattutto, il Tesoro. Purtroppo anche qui di acquisti non ne abbiamo fatti: le mercanzie in vendita non ci ispirano più di tanto, forse quasi rovinano l’atmosfera, non so…
E riprendiamo il Siq a ritrovo, che stavolta è in salita, eccome! Arrivo al Visitor Center distrutta! Il pensiero che stasera ci aspetta il tour i Petra By Night non è che mi alletti molto, tutt’altro!
Alla fine cedo e compro un cammello di pelouche per mio nipote, mentre il beduino si spertica in complimenti per farmi comprare tutto il negozio…invano.
Il tempo di fare una foto di gruppo e risaliamo sul pullman che ci porta per una bella doccia calda in hotel, sempre Marriot, sopra le alture di Petra, il cui paese è abitato da beduini in case modeste, piccoli negozi alimentari, qualche bar-ristorante per i turisti, ma niente di che. Indossato il giubbino “100 grammi”, riprendiamo la visita di ‘Petra by night’, che in realtà non è guidata: il pullman ci lascia al Visitor Center e da qui si percorre la strada ed il Siq illuminato da lanterne messe a terra lungo tutto il percorso, fino ad arrivare al Tesoro,nel cui spazio antistante hanno preso posto, per terra, migliaia di turisti in religioso silenzio (o almeno ci provano!), ad ascoltare i suoni e i racconti dei beduini per circa 2 ore. Non fosse che la gente era davvero tanta, sarebbe uno spettacolo meraviglioso! Ai primi arrivati viene offerto anche del thè. Lasciamo sfollare un bel po’ di gente per riprenderci in qualche modo la tranquillità in notturna che giustamente ci aspettiamo, e poi raggiungiamo, un pochino in ritardo, il nostro pullman.

Il 3° giorno di tour vede dapprima la visita di Piccola Petra.
Poveretta, vista dopo Petra, non si può nemmeno lontanamente paragonare! Forse andrebbe fatta prima. Attraverso il Siq al Barrid si arriva ad un tempio e a 4 triclini, per una sosta rifocillante dei viaggiatori mercanti dell’epoca. Non abbiamo né tempo né voglia di intraprendere i numerosi gradini da cui ammirare il paesaggio, ma ci attardiamo a guardare le bancarelle beduine onnipresenti, dove fare acquisti di poco valore.
Riprendiamo la via con una sosta fotografica per immortalare -in lontananza- il Castello di Shoback. Questo ci fa deviare dalla strada e prendere un giro largo per raggiungere il Mar Morto che, sinceramente, penso non ne valesse davvero la pena!
Arrivando nei pressi del Mar Morto, si scorgono al di là di questo grande specchio d’acqua salatissima, le alture israeliane. L’aria non limpida ci impedisce di scorgere Gerusalemme, a una quarantina di km in linea d’aria.
Prima di arrivare alla solita catena di hotel Marriot, ci portano a mangiare in un ristorante situato all’interno di un centro balneare con tanto di piscine e gente in costume da bagno, per poi andare in hotel.
La scelta si rivela pessima, come il mangiare. E qua un appunto alla Mistral dobbiamo farglielo: abbiamo pagato più di 1900€, sei uno dei tour operator più gettonati e ci porti a mangiare in un postaccio a pochi metri dal nostro hotel???
Vabbè. In hotel distribuiscono le camere e rimaniamo gli ultimi ad averla, dopo un po’ di attesa perché si capisce che qualcosa è andato storto. Mentre noi fremevamo per la giornata sul mar Morto che, ancora un po’, ci fanno svanire! E invece la sfiga continua: camera occupata, ritorniamo alla reception e per la seconda volta, visto i disservizi, chiediamo l’upgrade di camera: ci viene fornita una superior, grandissima e con tanto di terrazzona vista mare! Il tempo di cambiarci e scendiamo al mare, attraversando le piscine dell’hotel e salendo su una macchinina elettrica (tipo quella da golf) che ci porta alla spiaggia. I lettini sono tutti occupati, ma veniamo ospitati da altri compagni di tour, ci spogliamo e un addetto offre aiuto per entrare in acqua: oltre ad avere un fondo pietroso, con pietre scivolose e grandi, l’acqua sembra un po’ oleosa. Il consiglio è quello di NON entrare di faccia, ma di schiena: questo perché….si galleggia! E’ quasi impossibile, a pancia all’aria, portare le gambe in basso, ma è pericoloso girarsi a faccia in giù.
Le fotografie che ritraggono bagnanti col giornale in mano ora posso dire che non sono taroccate.Stare a galleggiare a pancia e gambe all’insù porta ad un notevole lavoro di addominali. Dopo un po’, esco a ritroso, sempre di schiena, fino a toccare i sassi a riva, e mi cospargo col fango a disposizione. Un grande specchio posto dall’hotel ti aiuta nel constatare di esserti completamente ricoperto di fango, che però, nel mio e in altri casi, comincia a pizzicare tantissimo nella zona delle narici. Per fortuna c’è una doccia.
La macchinina elettrica ci riporta nella zona piscine, dove prendiamo il sole e un cocktail alcoolico. In Giordania l’alcool è vietato ma nei grandi alberghi è disponibile, ovviamente non a modiche cifre.
La cena, sempre a buffet, offre per il mio palato, sempre le stesse cose: riso, pollo, spezzatino di manzo, hummus, pane… I dolci mediorientali non li gradisco, tranne delle palline che assomigliano ai nostri struffoli non guarniti dei tradizionali confettini colorati.

Il 4° giorno di tour
Ripartiamo alla volta del MONTE NEBO, il luogo da cui Mosè contemplò la Terra Promessa, e dove morì. Sulla cima è presente il Memoriale e da qui si gode la vista di Israele. La chiesa conserva dei mosaici ben tenuti. Fuori, una grande croce in ferro, opera di un artigiano italiano, con un serpente aggrovigliato ed in alto, un bastone. La guida non ce l’ha saputa spiegare, ma mi piace pensare fosse il bastone di Mosè.
Poco più in là, un ulivo e la fotografia che ne immortale l’inaugurazione fatta dall’allora Papa Giovanni Paolo II. Il ricordo di una compagna di tour, che ce lo racconta già sofferente, ci riporta al suo ultimo giorno di vita, che tutti noi ricordiamo con grande sofferenza, commozione e qualche lacrima.
Purtroppo, per una questione di un’ora, non incrociamo il nostro Capo dello Stato, il Presidente Sergio Mattarella, in visita in questi giorni in Giordania.
Proseguiamo per Madaba, la città dei mosaici bizantini. Visitiamo la Chiesa di San Giorgio, qualche strada del centro -dove compro un piccolo mosaico tondo presso una scuola femminile-, e proseguiamo per Amman, non senza notare le bandiere italiane che costeggiano l’ingresso alla capitale, in onore della visita di stato. La Cittadella ci delude un po’.
Devo dire che la nostra guida, pur essendo preparata in materie storiche, ha una parlata soporifera, non è per niente accattivante né empatico, non riesce ad entrare in sintonia e non parla benissimo l’italiano, tanto che a volte faccio fatica a capirne il senso della frase.
Insomma, una visita un po’ svogliata per arrivare poi in hotel (il solito Marriot), una bella doccia ristoratrice, una cena che mi vede disattendere i miei propositi (mai mangiare pizza o italiano all’estero!) e mi punisce per questo, e il sonno dei giusti.

Il 5° giorno non è di tour: è una giornata messa a disposizione da un Tour Operator che -ahimè, tocca ripetermi- sembra voler spremere i turisti ancor più, costringendo la guida a promuovere solo e soltanto i loro pacchetti:un giorno ai Castelli del Deserto (per la modica cifra di 100€, pasto compreso) oppure Betania (alla fonte battesimale del fiume Giordano) per mezza giornata a metà prezzo.
Fanculo. Optiamo per un bel pacchetto rigenerante in uno dei più bei hammam di Amman.
Il tassista, ingaggiato dall’hotel, non sembra convinto del percorso da fare. Roberto apre prontamente Google Maps sul suo smartphone e gli fa strada. L’autista sembra un pochino infastidito, ma Roby continua (per fortuna) a fargli strada perché staremmo ancora girando! mentre l’autista alla fine, capita la strada, prende quasi per i fondelli il mio compagno di viaggi, forse per vendetta, chiedendo ad ogni strada (esatta) se doveva girare di la. Sono un po’ suscettibili…
I percorsi sono divisi per maschi e femmine. D’altronde, la Giordania sarà pure uno dei paesi arabi più occidentalizzati, ma le donne, per la stragrande maggioranza, vanno in giro col velo, se non col burqa (tante). Quelle a capo scoperto sono pochissime e magari non sono nemmeno giordane!
Per 2 ore ci coccolano, ci strigliano, ci lavano, ci insaponano, ci oliano, iniziando da un bollente idromassaggio, passando poi per un bel bagno turco con tanto di granita offertaci gentilmente, altro scrub, altre docce, infine un po’ di relax al bar (dove viene servito solo thè e un dolce al cucchiaio, al cocco), prima di docciarci e rivestirci. Bisogna stare attente alle solerti addette perché portano via tutto prima ancora che tu abbia finito di utilizzarlo! Persino il mio costume e la mia asciugamano….
Andiamo a pranzare in un ristorante consigliato da Tripadvisor, e dobbiamo dire che mai miglior scelta fu più che azzeccata. Il ristorante è frequentato sia da gruppi di turisti -che prendono sale diverse- sia dagli abitanti della capitale. Ci sistemiamo accanto a delle donne -velate- che fumano, e la cosa ci pare strana, visto che non sono accompagnate da uomini. Nel tavolo accanto al nostro mangiano due uomini che, a fine pasto, si tolgono le scarpe, incrociano le gambe sul divanetto dove sono seduti e fumano narghilè.
Devo non pensare al fatto che potrei essere seduta sul divanetto dove altri ci hanno appoggiato i loro piedi!
Finalmente mangiamo un pasto degno di questo nome! Gamberi alla piastra, melanzane, qualche stuzzichino, preceduti da i loro antipasti (creme varie), e veniamo omaggiati di 4 dolci al cucchiaio, un piatto di dolcetti misti, e frutta sbucciataci da un solerte e scherzoso cameriere che fa di una banana un alligatore e di una mela un fiore. Riprendiamo un taxi per farci portare alla famosa Rainbow Street, dove i negozietti sembrano più originali dei soliti negozi di souvenir che abbiamo incontrato finora. A metà strada incontriamo un bar con la scritta “Lavazza”: non possiamo non fermarci per un buon caffè!Che ci viene servito al tavolino esterno con…2 moka! Fantastico! Alla fine della strada prendiamo il taxi di ritorno, quello più caro di tutti. Sappiamo benissimo di essere stati presi per il culo, ma ormai i giochi sono fatti: paghiamo malvolentieri e malvolentieri salutiamo.
Altra cena, altro tentativo di prendere una pizza SENZA spezie, ma invano! Tempestata di origano, non riesco a finirne nemmeno metà. Poi, a nanna.
Ho portato con me un libro e la guida Lonely Planet della Giordania, da leggere in camera, ma ci arriviamo sempre talmente stanchi che l’unica cosa che facciamo è quella di usare il bagno, impigiamarci e darci la buona notte.

Il 6° giorno di tour prevede le visite di Jerah, Ajloun e Gadara.
Invece cominciamo da Gadara, al confine con la Siria, piccolo sito archeologico, e continuiamo per il ben tenuto Castello di Aljoun, non prima di essere noi stessi richiesti per fare delle foto con gli abitanti del posto! Nella piazza antistante il castello (che si raggiunge percorrendo una ripida salita), un sacco di ragazzi giordani fanno festa. In realtà, tanti giordani fanno festa: è venerdì, il loro giorno di riposo, la loro ‘domenica’: il piazzale dove posteggia il pullman è preso d’assalto da numerose macchine e pullmini, tanti vecchi scuolabus riadattati a furgoni familiari (d’altronde, qui la media dei figli è alta, e si portano dietro, oltre al parentado, di tutto, di ogni e di più per pic-nic ai bordi delle strade, nei campi, nei siti archeologici…ovunque! Da qui non riusciamo a ripartire in tempo per evitare il traffico (o meglio dire l’ingorgo) prodotto dai fedeli che si recano alle moschee, così rimaniamo letteralmente imbottigliati nella strada della moschea. Addirittura, il deficiente che non ci ha permesso il passaggio, vedendosi ostruito, lascia l’auto di fronte al nostro pullman e corre alla moschea: per fortuna, 5 minuti dopo la funzione religiosa era finita e tutti riprendono -con calma- le loro auto lasciate anche in seconda e terza fila.
Devo dire che i giordani non sono dei geni alla guida, anzi. Mentre riescono con solo 2 macchine a creare un ingorgo, senza che nessuno voglia retrocedere, il nostro autista prende sfortunatamente uno specchietto a sinistra: ovviamente distratto a guardare a sinistra, non si accorge di avere agganciato la macchina ferma in avaria a destra e la trascina per un bel metro. Mentre la prima auto non si ferma nemmeno per la constatazione, la seconda avviene tutto in modo verbale: i due autisti si accordano per un risarcimento di 25 dinari (circa 30€) e finisce lì, anche se il pullman riporta sulla fiancata destra dei bei segni evidenti. Riprendiamo il nostro cammino ed arriviamo dapprima al ristorante (sempre peggio!) e poi a visitare le rovine romane di Jerash, con le sue vie colonnate ed i suoi teatri, bellissima! La piccola Pompei d’Oriente serba delle gran sorprese, a cominciare dal fatto che per visitarla, si passa attraverso un mercato di souvenir e a finire dal fatto che sia meta di famiglie in cerca di luoghi dove trascorrere un po’ di questo tempo di festa all’aperto. Un po’ come se noi facessimo un bel pic-nic all’interno degli scavi di Pompei, appunto!
Torniamo in hotel il tempo di docciarci e ritrovarci per l’ultima cena di gruppo, stavolta in un bel ristorante di Amman. Il pullman che ci viene a prendere non è lo stesso del mattino: ce lo hanno cambiato, mandando quello incidentato a riparare.
Manco a farlo apposta, il ristorante è quello del pranzo di ieri! Ci sfreghiamo troppo presto le mani, pensando di mangiare bene anche stasera: veniamo portati in una sala più modesta, con un menù già prefissato, coi soliti antipasti e le carni -speziate- che non riusciamo nemmeno a finire. In compenso, curiosiamo guardando la tavolata di fronte a noi che sta festeggiando un fidanzamento: sembrerebbe che le due famiglie siano di diversa estrazione sociale a giudicare da come siano vestiti e da come non si parlino. Facciamo gli auguri ai futuri sposi, e andiamo via, riflettendo come pure un buon ristorante possa diventare mediocre spuntando prezzi bassi.
La sfortuna si accanisce ancora una volta sul povero autista del nostro pullman: l’entrata per questi mezzi all’hotel Marriot di Amman è davvero infelice e assolutamente mal studiata da chi l’ha progettata! Il pullman, nella curva a gomito, prende la colonna di pietra con cui termina l’assurdo muretto -troppo lungo- che hanno costruito all’entrata e fa un bello squarcio alla fiancata destra. L’autista scende si mette le mani nei capelli al vedere il disastro: ha avuto danni anche la colonna, e credo che per lui saranno rogne, mentre noi siamo dispiaciutissimi, ma non sappiamo cosa fare.La guida dice che sono assicurati, ma qualche dubbio sul futuro del nostro autista lo abbiamo….

E’ il giorno del ritorno. Ultima colazione a buffet. Ho imparato a mangiare l’omelette al formaggio di prima mattina (così non arrivo morta al pranzo, che spesso per me è composto da pane e hummus). I wi-fi degli hotel non permettono chiamate, ma tramite messaggio chiedo a mia mamma di prepararmi un bel piatto di spaghetti al pomodoro semplice semplice. Non voglio vedere né sentire spezie per un anno! Altrettanto per ceci e derivati! Le file del check-in sono lunghe ma velocissime! I nostri passaporti vengono controllati 3 volte, poi finalmente, ci imbarchiamo, sempre con la Royal Jordanian, sempre con un vecchio aereo ma stavolta più grande, sempre col solito schifoso pasto. Perlomeno, servono anche il vino….
A Roma, scalo di 2 ore e passa, telefoniamo, cazzeggiamo per i negozi, prendiamo un caffè, e poi ci imbarchiamo su un aereo Alitalia di due file per 3 sedili coi posti più stretti che io abbia mai e poi mai preso! Pensate che le ginocchia di un uomo di altezza media toccano lo schienale di fronte, e che se volete leggere il giornale di bordo dovete tenerlo molto obliquo. Il volo dura un’oretta. Siccome lo spazio è tanto, e il volo lungo (ironic mode on), quello di fronte a me pensa bene di abbassare lo schienale! Gli chiedo gentilmente di rialzarlo, si gira verso di me con una faccia seria e scocciata, aspetta due secondi e…mi risponde in inglese che avrebbe alzato il sedile. Meno male che ha capito!
I bagagli ci vengono restituiti in una manciata di minuti, la navetta del parcheggio arriva quasi subito, e così arrivo un po’ in anticipo a casa dei miei, dove un bel piatto di spaghetti fumanti non me lo toglie nessuno!E non ce n’è: la cucina italiana (e quella di mamma) non la batte nessuno!!!

 

Un minuto di celebrità

Si dice che tutti quanti, prima o poi, abbiamo un minuto di celebrità.
Un solo minuto di celebrità.

Pochi anni fa, partecipai ad un concorso letterario, patrocinato da una grande banca italiana e alcuni comuni dell’hinterland milanese, arrivando terza.
Il primo arrivato mi sembrava “fuori tema”, eppure vinse, ma non si presentò alla premiazione. E neppure il secondo! Così, toccò a me essere intervistata, in una sala piena zeppa, e dei veri giornalisti a presentare e domandare.
E a ma, l’unica domanda che mi sovveniva era proprio: “ma non potevo darmi malata???”.

Furono stampate poche centinaia di copie di questa raccolta di racconti, ma la cosa che più mi inorgoglì fu la versione teatrale del mio pezzo: trasportata per una sorta di commedia comica, con lieve accento siculo. Un gran peccato che non ne esista un video!

Il lunedì dopo la premiazione, ci si incontrava col gruppo di lettura di Bollate.
Quella stessa sera, eccezionalmente, erano ospiti un gruppo di detenuti del vicino carcere, che avrebbero dovuto leggere le loro poesie.
In pratica, ci fu un ‘gemellaggio’ al volo dei due gruppi che, vicendevolmente, diventarono uno l’uditorio dell’altro: poesia e narrativa. A fine serata, vennero regalati loro le copie del libro che raccoglieva anche il mio racconto, e ciascuno di loro volle il mio autografo.
Io non ho mai firmato autografi! Avessero detto ‘dedica’, vabbè, era come firmare un biglietto di auguri.
Ma mi chiesero proprio l’autografo! A me! Oddio….e come si fa? E che si fa?
Scrivo il nome e cognome? Chiedo il nome? Ci scrivo il classico ‘con simpatia’?

Cercai dentro di me parole un po’ meno vuote, per queste persone che sarebbero rientrate di lì a poco nelle loro celle.

E io a casa mia, più ricca di come ne ero uscita.

…e poi arrivano le docce fredde

come quelle di stamattina, dove appena metto piede in ufficio, la mia collega mi comunica di avere un tumore al rene.

Altro che buongiorno! Io devo ancora metabolizzare, e lei è già entrata in modalità guerriera combattente!

Incrociamo le dita e mandiamo buona energia. Nel frattempo, devo imparare a trattenere le lacrime, a non farmi vedere piangere.

Malattie di merda!!!!!!!!!!

Sterilizzazione coniglio nano maschio

Su consiglio dell’associazione presso cui ho adottato Bartolo, e del veterinario esperto in animali esotici (la specializzazione che si occupa -anche- dei conigli), lo porto sterilizzare.
Con la speranza nemmeno tanto segreta che cominci, finalmente, a pisciare e spallinare nelle apposite lettiere, e non per casa.
Forse gli ho dato fin da subito troppa libertà; forse avrei dovuto lasciarlo un altro po’ rintanato in bagno (non ho gabbie), fatto sta che Bartolo ha cominciato a fare i suoi bisogni in bagno, dentro e fuori le lettiere, e in corridoio.

Venerdì mattina lo lascio dal veterinario e lo vado a riprendere dopo lavoro, ancora un pochino intontito.L’operazione è andata bene, si tratta solo di somministrargli per una settimana l’antibiotico, un antidolorifico ed eventualmente, non dovesse spallinare abbastanza, un altro farmaco.

Posso dire che, effettivamente, da quando l’ho fatto sterilizzare, si è ripreso subito, senza strascichi; non fa i suoi bisogni liquidi e/o solidi dappertutto ma solo circoscritti al bagno e antibagno, e non emette un forte odore pungente.

Ora si tratta di farlo abituare a fare i suoi bisogni solo e soltanto nelle lettiere (gliene ho messe 3 nei punti dove fa più spesso pipì) e la strada diventa in discesa!
Incrociamo le dita!!!

Coniglio nano: coccidi

Da quando ho portato a casa Bartolo, ho notato che le feci sono un po’ “umide” rispetto a quelle ‘secche’ di Strufolo.
Inoltre, noto che si gratta spesso la testolina.

Morale: lo porto subito dal veterinario per la sua prima visita post-adozione.
2 pipette di Stronghold a distanza di 10 giorni per i parassiti che sembrerebbe avere sulla pelle, ed esami delle feci.

Due giorni dopo, il verdetto: ha i coccidi.
Il veterinario ci impiega un po’ di tempo per ricercare scrupolosamente l’antibiotico giusto, me lo prescrive e in 8 giorni le nuove analisi delle feci non rivelano più questi parassiti che provocavano una fastidiosa e pericolosa diarrea al coniglio.

L’ho capito tardi

Credo ancora che tu, cara amica, mi voglia bene.
A parole. Certo.
Ma a fatti… ci sono tante, troppe cose…
Ci sono tante, troppe mancanze…
Ci sono tante, troppe disattenzioni….
Ci sono tante, troppe occasioni mancate…
….da parte tua.

Io ce l’ho messa tutta.
Ho parlato, chiesto chiarimenti, ti sono stata vicina, anche quando non me lo chiedevi direttamente.
Ti sono venuta incontro mille volte e in mille modi.
Ho attraversato laghi e tu pozzanghere.

L’amicizia non si da per scontata. E si costruisce in due.
Ma forse, mi viene il dubbio, che non lo fosse neppure prima che ti fidanzassi.
E io, idiota, l’ho capito tardi.

…e poi arriva Bartolo

Prendo appuntamento per sabato pomeriggio con
Opera Animalia Onlus Assoc. tutela animali.

Mi accompagna Loredana, la mia amica storica. Mi presta un trasportino e andiamo. Prendiamo l’A1 e un’oretta dopo siamo a destinazione.
La presidentessa ci accompagna in un viaggio di presentazione dei suoi ospiti lunghissimo: ce li vorrebbe presentare tutti, ma il tempo è tiranno e loro sono troppi: ne ha un centinaio!
Così ci fa vedere e prendere in braccio solo i conigli ‘papabili’ alle mie richieste di adottante: va bene vecchiotto (che non vuole nessuno) ma che stia bene.
E mentre, nel gelo della campagna pavese, facciamo il giro delle grandi gabbie in cui vengono ospitati questi disgraziati dalle orecchie lunghe, un coniglio più intraprendente e curioso di altri si piazza sulle sbarre della sua gabbia: è Batuffolo, un ariete di 5 anni. Ha una faccia troppo simpatica, squadrata come i cartoni animati giapponesi (mi ricorda molto il cane Spank). Ma andiamo avanti, ce ne sono molti da vedere. Solo che poi si mischiano nella mia mente, non li ricordo più, e il freddo si fa sentire, i piedi mi fanno male dal freddo e Loredana va a scaldarsi in casa.
Inutile vederne altri: Batuffolo ha fatto centro nel mio cuore!
Torno per rivederlo, ma lui stavolta cambia atteggiamento, e si nasconde sotto la sua casetta. Alla fine si riesce a prendere e lo tengo in braccio. Non fa una piega, come tutti gli altri conigli. Ma io UNO ne posso portare a casa…
E così, eccoci qua, imbarcati in una nuova impresa, con questo esserino nemmeno troppo piccolo: più grande e più vorace di Strufolo, ma dal muso simpaticissimo:

Ah: a me il nome Batuffolo né il suo diminutivo (Baty) mi piaceva, né tanto meno l’orecchiuto mi rispondeva, quindi…. l’ho rinominato BARTOLO (diminutivo: Barty), almeno le assonanze sono salve 😉

Buon 2019!!!

E non aggiungo altro, perché a me la fine di ogni anno porta tristezza.
Non so perché, ma mi intristisce.
L’anno prossimo, se le mie finanze me lo permettono (e trovo con chi andare) vorrei essere via per le feste, fuggirle, scappare lontano e più lontano è, meglio è.
Buon anno a voi che avete avuto la pazienza di arrivare a leggere fin qua e scusate se vi ho rubato dei minuti che magari giudicate poi inutilmente spesi.
Buon anno, sperando che domani sia migliore

Auguri!

Auguri. Auguri di Buon Natale, di buone feste per lo meno.
Auguri a tutti. Che dire? Qui in Italia il clima socio-politico si sta imbruttendo, imbarbarendo: sto assistendo a un veloce declino, a una sfrontatezza senza pari, a rigurgiti di razzismo che -devo prendere atto- sono stati celati bene in tutti questi anni!

Eppure, abbiamo solo la fortuna di essere nati nel posto giusto. Quello dove puoi aprire un rubinetto e mettere sotto un bicchiere per bere. O farti una doccia, magari anche calda. Senza altri problemi.
E non solo non ci rendiamo conto di questa enorme fortuna. Ma ci sentiamo ‘depredati’ (ma di cosa??) da questi nuovi sbarchi, da questa gente che scappa da un presente INVIVIBILE. Lo riscrivo lento: IN-VI-VI-BI-LE.
Scappa, affrontando prove durissime prima di arrivare in Europa. Sempre che arrivi.
E noi, con la puzza sotto al naso, 60 anni e passa dopo la fine della seconda guerra mondiale, quando tutta Italia moriva di fame, non ricordiamo più niente. Come se fossimo sempre stati ricchi e benestanti. Come se mai nessun italiano avesse avuto -quando andava bene- un solo paio di scarpe.
Ah, la memoria corta!
Ma anche se fossimo stati sempre ricchi (e sottolineo: NON lo siamo stati): che diritto abbiamo di giudicare questa povera gente disperata?
Ma come si fa a godere del fatto di avere chiuso porti e lasciare in balia del freddo e delle onde centinaia di ESSERI UMANI?
Ma che razza di essere umani siete voi, che ormai, senza vergogna, avete sdoganato il più becero razzismo e augurate a questa folla di disgraziati di ‘andare giù’???
A voi non lo auguro un buon Natale. A voi auguro che possiate strozzarvi con la fetta di panettone. Ma che vi salvi un medico, magari proprio un medico scappato dall’inferno del suo paese, e che non fa distinzione tra ricchi e poveri. Perché questa è la vera distinzione.
auguri a chi un cuore ce l’ha ancora, e ancora ha una mente, un cervello con cui interrogarsi ed interrogare. Auguri a chi si fa domande, a chi si indigna, a chi non si lascia trascinare. Auguri a chi è rimasto umano, a chi tende una mano.
Auguri a chi non da gli altri per scontati, ‘tanto ci sono sempre’ perché non è vero: non ci sono sempre!!!
Auguri a chi sa cos’è il rispetto e l’educazione, ormai non più di moda. Auguri a chi non mette davanti a tutti se stesso ed il proprio egoismo.

Si nasce soli e si muore soli. Ma nel mezzo, spero vi sia taaaanta umanità.
Auguri.

Ti faccio sapere

Se sei da sola, a Natale, ti va di trascorrerlo coi miei?
Avevo pensato di trascorrere il Capodanno a casa mia: vieni?
L’anno prossimo vorrei festeggiare il mio compleanno su quell’isola greca di cui ti parlavo, così ci facciamo anche le vacanze estive: venite?
“TI FACCIO SAPERE”

A me va benissimo anche un semplice NO di risposta. Non mi offendo, anzi, lo trovo molto, ma molto più educato di tenere ‘sulle spine’ una persona. 
Per una questione di educazione in primis, e in secondo organizzativa.
Casa mia è piccola come immagino casa vostra.
Mi piacerebbe invitare tante persone a cena, ma non ci stiamo. Perciò, se non vieni (e sinceramente, mi dispiace, sennò non ti avrei nemmeno invitato), posso chiamare in seconda battuta un’altra persona che mi ero tenuta (senza dirglielo) ‘in panchina’.
Se devo festeggiare il mio compleanno in un locale, devo prenotare i posti. Poi, certo, le defaiance ci possono stare all’ultimo momento.
Ma sarebbe buona educazione rispondere, non dico subito, ma il giusto tempo dopo.

Poi, però, se non sei tu a richiedere novità, quella risposta non arriva mai.
Eh sì perché se non arriva, 9 volte su 10 non vengono.
Che nervi!

Minchia, Trenord!!!

Automobile ko. Sono costretta a prendere il treno da una settimana a questa parte e sono già stufa.
Palinsesti orari che saltano, treni soppressi (il mio del ritorno), e treni in ritardo (quasi tutti!). 
Viaggiatori stanchi di tutti questi disservizi stanno distribuendo volantini alle stazioni.
Dal 2019 ho letto che taglieranno del 50% alcune corse.

Per la serie: ma perché dovremmo incentivare l’utilizzo del treno???!

Black Friday

Ok: Amazon non è uno stinco di santo, ma per certi versi ti fa risparmiare tempo e denaro: è comodo, pratico, ed economico.

Così, approfittando della settimana famosa per gli sconti, provo a vedere se riesco a trovare qualche ispirazione per i regali di Natale.

Niente da fare: io faccio parte di quella categoria che le cose le deve toccare e soppesare. Così non ho preso nessun regalo.

Però mi sono comprata l’autoradio! 🙂

A dieta!

Eh sì. Si arriva ad un punto in cui dici ‘basta!’.
I chili aumentano, i vestiti non ti stanno, ma ancor peggio, in giro nei negozi non trovi nulla che ti stia. No, non che ti stia bene: ma proprio…che ti stia!

E allora provi a stare un po’ ‘indietro’ col mangiare, provi a fare più attività fisica, ma niente, nessun chilo ti saluta, anzi, ne arrivano di nuovi. Probabilmente si è sparsa la voce che qui si sta bene!
Ho anche provato qualche app: Melarossa, i vari diari alimentari conta calorie, gli esercizi da fare a casa (che, siamo sinceri: non faremo MAI!!!).Ho persino pensato di comprarmi un tapis-roulant per casa, ma poi ho visto il costo…..

Non c’è niente da fare: urge un dietologo, che ti faccia un cazziatone ogni volta che ti vede, di quelli che, per paura, non mangi tutta la settimana precedente l’incontro, di quelli a muso duro.
Ma io….non me lo posso permettere.

Così, un bel giorno, Groupon pubblicizzava una visita da un nutrizionista in un centro per la famiglia: non mi sembrava il solito centro per dimagrire che ti offre ad un prezzo stracciato la visita, ma poi insiste per farti comprare altro. Così l’ho comprato.

Due ore di colloquio con un dietista alla mano, informale ma preparatissimo. E da venerdì la dieta da seguire.

Oggi è mercoledì e mi sono già intristita, v’ho detto tutto!!!